Umberto Eco, parlando di Istanbul, diceva che esisteva un solo modo per conoscerla bene: girare da solo, a piedi, e smarrirsi.
Io, vagando per Istanbul, non ero da solo, ma con i miei fedeli compagni di tanti viaggi che già avete avuto modo di conoscere. Noi, però, in viaggio siamo come una cosa sola: menti e corpi che si muovono all’unisono; ognuno capace di arricchire quell’esperienza con le proprie peculiarità, rendendola così indimenticabile.
A distanza di anni personalmente metto ancora quel viaggio in cima a tutti quelli fatti con i miei compagni del BerTour, che ormai sapete benissimo di cosa si tratta.
Forse perché era stata la prima grande meta che per anni avevo sognato di visitare, forse perché, appunto, camminando per le sue strade, lasciandosi permeare dalla storia e dalle culture che hanno arricchito di fascino questa città, è impossibile non restarne incantanti… come in un rito magico.
Forse, semplicemente, perché non esistono altre città così.
Bentornati dopo le vacanze, cari amici di Taste of Art. È ora di iniziare a raccontarvi il mio viaggio a Istanbul!
Eravamo partiti il primo maggio del 2013, un mercoledì, per rientrare il sabato sera.
Ai tempi eravamo tutti dei giovani e spensierati universitari. Quindi riuscivamo a ritagliarci dei giorni anche in settimana per i nostri tour e oggettivamente ciò era molto comodo per trovare offerte più vantaggiose con i voli e gli alloggi.
Da come era iniziato il viaggio avremmo dovuto capire quale sarebbe stato l’andazzo generale di quelle giornate…
Roberto che era insieme a me, Giuseppe, il sempre presente Bert, Alessio e Filippo, aveva deciso che, dovendo prendere l’aereo non prima delle 13:00 all’aeroporto di Orio al Serio, non avrebbe voluto partire con la pancia vuota.
I controlli all’aeroporto però erano stati più lunghi del previsto e non avevamo tutto questo tempo da trascorrere in attesa del volo… ma ciò non aveva scalfito la ferrea volontà di Roberto di gustarsi un hamburger di McDonald’s prima di partire.
Peccato che c’era abbastanza coda in quel momento dentro al Mc e solo all’ultima chiamata per l’imbarco era finalmente riuscito a ricevere l’hamburger desiderato… ma noi ci eravamo totalmente dimenticati di una cosa fondamentale: per andare a Istanbul avremmo dovuto passare anche attraverso il controllo passaporti!
Quindi correndo, con Roberto che teneva in mano il suo unto panino, ci dirigemmo verso l’area dei controlli, che era estremamente affollata dalla presenza di passeggerei anche degli altri voli, ovviamente.
Ora ammetto che sicuramente i nostri viaggi sono sempre stati protetti da una buona stella, ma quella volta ci andò anche meglio delle più rosee aspettative.
Ci dirigemmo da un addetto al controllo che però in quel momento stava semplicemente gestendo il flusso della coda, al quale spiegammo che il nostro aereo stava per partire, e che se avessimo fatto tutta la fila avremmo perso il volo. Spiegammo che avevamo un amico imbecille che si era fissato per mangiare il panino (in tutto ciò intanto Roberto aveva iniziato ad azzannarlo) e lui, guardandoci con un’aria che era un misto di compassione e sdegno, controllandoci velocemente i passaporti ci fece passare aprendoci un cordone di sicurezza e permettendoci letteralmente di prendere al volo l’ultima navetta di trasporto al nostro aereo.
Nel mentre Roberto, con una rara calma olimpica, aveva finito di ingurgitare soddisfatto il suo panino.
Così è iniziato il viaggio!
Il nostro appartamento si trovava vicino a Piazza Taksim, nel distretto di Beyoglu, nella parte europea della città non lontano dalla Torre di Galata e in una zona decisamente centrale. Per l’esattezza stavamo in via Kalyoncu Kullugu Caddesi, e intorno al nostro appartamento (e anche al suo interno) anche se eravamo in un distretto abbastanza turistico praticamente affacciao sul Bosforo, era presente una discreta dose di facce poco raccomandabili; scoprimmo nei giorni seguenti infatti che era una delle zone, almeno a quei tempi, più note per lo spaccio e la prostituzione transessuale della città.
Comunque non ci facemmo troppo caso e nessuno ci diede fastidio o tentò di offrirci i propri servizi.
Non dovevamo avere, fortunatamente, il physique du role dei tipici clienti.
Non facemmo neanche troppo caso al pittoresco panorama che vedevamo dalla finestra del nostro appartamento, di cui metterò una foto sui social perché devo assolutamente condividerlo con voi.
Eravamo anche vicini a dove, in quel periodo, stavano nascendo le prime proteste per il regime di Erdogan che avrebbero infiammato la città nei mesi successivi… Gezi Park, non lontano da noi, fu sede di diversi scontri e anche noi in quei giorni a volte le sere ci trovammo a rischiare di finire in mezzo a focolai.
Zona tranquilla, insomma.
Comunque…
La prima sera facemmo un giro del centro, ovviamente mangiando un kebab in terra turca, ma senza fare tardi in vista del giorno successivo. Che volevamo sfruttare appieno!
La mattina infatti avevamo subito iniziato ad ammirare gli antichi fasti romani della città, con l’obiettivo però di vistare prima di tutto la Moschea Blu.
Avevamo attraversato il Ponte di Galata e raggiunto il distretto di Sultanahmet nel quartiere Fatih, dove sono concentrati alcuni dei principali monumenti della città. Avevamo infatti iniziato ad ammirare l’Obelisco di Teodosio e scorto da lontano Santa Sofia per poi arrivare davanti alla Moschea.
In quel momento però, non era possibile entrare essendo chiusa in quel momento per la preghiera e per questo avevamo deciso di non perdere tempo e spostarci immediatamente a visitare un’altra delle meraviglie che ancora custodisce Istanbul.
E io, da buon archeologo, sinceramente non vedevo l’ora di ammirarla: sto parlando della Yerebatan Sarnici (o Sarayi)… conosciuta in italiano come la Cisterna Basilica.
Utilizzata anche come set di film, tra gli ultimi anche “Inferno” di Ron Howard tratto dai libri di Dan Brown, poterla guardare finalmente con i miei occhi era stato davvero emozionante.
Insieme al mio primo ingresso nel Colosseo, alla discesa nelle tombe reali macedoni a Verghina e alla vista del Tesoro di Petra, la Cisterna Basilica rientra nella lista dei siti archeologici o monumenti che maggiormente mi hanno impressionato dal vivo.
Questa straordinaria opera architettonica antica fu fatta costruire per volere dell’imperatore Giustiniano I dell’allora ancora opulento Impero Romano d’Oriente nel 532.
Addentrandosi in questo spazio estremamente vasto composto da dodici file di 28 colonne ciascuna, con ogni colonna alta 9 metri, è ancora possibile trovare l’acqua e si cammina al suo interno tramite delle passerelle rialzate.
In epoca romana la cisterna funzionava grazie all’Acquedotto di Valente e da più di trent’anni è stata riaperta al pubblico.
Sono anche presenti materiali di riuso sempre da monumenti antichi, come ad esempio due gigantesche teste di Medusa provenienti probabilmente dal Foro di Costantino che, disposte rovesciate, fanno da sostegno a due colonne che sorreggono una volta.
L’illuminazione presente è messa ad hoc per rendere quella selva di colonne ancora più suggestiva.
Ma sono sicuro che rimarreste a prescindere davvero molto tempo a camminare all’interno di tanta magnificenza, come sotto l’effetto di un piacevole incantesimo.
Ritornati alla luce del caldo sole di Istanbul ci eravamo poi diretti al vicino Palazzo Topkapi, in realtà un complesso formato da più palazzi che fu la residenza dei sultani ottomani dal XV al XIX secolo.
Nell’ottocento infatti iniziarono a venir preferite residenze più moderne e il complesso fu sempre meno utilizzato, fino a diventare nel 1924 il primo grande museo della Repubblica di Turchia.
Enorme, sontuoso, esagerato, ricco di decorazioni e oro: un totale esempio di tracotanza che conserva un vasto numero di reperti come armi, vestiti, reliquie e manoscritti.
Anche se il vero piacere è passeggiare per le aree e i giardini aperte al pubblico, più che ammirare i reperti.
Anche mentre lo visitavamo io però stavo già aspettando la meta successiva, che tanto avevo studiato e visto in molte fotografie e fremevo di osservare dal vivo: Santa Sofia.
Quando nel 2013 la visitammo noi era adibita a museo, dal 2020 è tornata ad essere moschea per volere di Erdogan.
Resta comunque sempre visitabile, tranne ovviamente che nei momenti della preghiera.
Che poi… dire tornata ad essere moschea è corretto, ma bisogna ricordare che prima ancora Santa Sofia era stata una chiesa cristiana.
E proprio questo la rende unica, riflettendoci; e si resta senza fiato una volta davanti a questa unicità: al suo interno convivono simboli islamici e raffigurazioni cristiane.
E sono così belli da vedere insieme.
Quella che attualmente si può ammirare è la terza basilica dedicata a Santa Sofia, voluta dall’imperatore Giustiniano I nel 532 ed edificata sopra i resti delle due precedenti, distrutte per motivi diversi.
Per la sua costruzione arrivarono materiali da tutto l’impero romano d’oriente e rimase chiesa per quasi mille anni, fino a quando il Sultano Maometto II assediò nel 1453 la città e dopo la sua presa convertì la chiesa a moschea, intonacando anche gran parte dei mosaici parietali con simboli e immagini cristiane.
Il tutto restò così ancora per secoli, fino a quando il primo presidente turco, Ataturk, nel 1935 decise che Istanbul doveva aprirsi di più all’occidente e interagire con le altre religioni e culture e fece diventare Santa Sofia un museo, riportando alla luce anche le parti nascoste dei mosaici, delle pareti e dei pavimenti che erano state coperte mentre era moschea.
La nobile volontà di Ataturk, di rendere quel luogo un simbolo della possibile convivenza del mondo cristiano e musulmano è stata vanificata appunto nel 2020 da Erdogan, il quale aveva ritenuto uno scempio l’averla trasformata in museo e decise che quel luogo doveva tornare a essere una moschea.
Ora si può visitarla, ma da quel che mi risulta dei teli coprono le immagini cristiane non solo durante le ore di preghiera ma durante tutto il giorno.
Mi sono dilungato sulla sua storia perché credo valga la pena parlarne, ma ovviamente, ciò che conta è vederla. Ed è arduo descriverla solo a parole
Santa Sofia è uno dei più splendenti esempi dell’architettura bizantina, con una struttura estremamente complessa, dovuta appunto anche a tutte le trasformazioni subite nei secoli.
La sua cupola che svetta a oltre cinquanta metri da terra, l’oro dei suoi mosaici, lo studio della luce che penetra dalle sue finestre hanno anche ispirato la forma della Basilica di San Marco a Venezia.
Potrete essere cattolici, musulmani, di altre religioni, atei ma comunque solo due cose proverete al suo interno: stupore e pace.
Siamo tutti fratelli e sorelle dentro Santa Sofia. E così dovrebbe sempre essere.
Sono dell’idea che questo sia un luogo inimitabile, unico e straordinario. Racchiude la storia di tutti noi. Non di un solo popolo.
Avevamo deciso di tornare il giorno seguente a vedere la Moschea Blu e piuttosto di perderci per il resto della giornata un po’ per le strade di Istanbul.
Ma, direi che per questa prima parte è tutto…
Il resto del viaggio a Istanbul, con il racconto di ciò che ancora dovevamo vedere, gli aneddoti riguardanti le nostre serate in locali semi-clandestini e, soprattutto il nostro acquisto compulsivo di maglie da calcio nel Grand Baazar ve le rivelerò nella Puntata 16!
Come avrete notato ascoltando la puntata, la sigla e la musica di chiusura hanno subito un “aggiornamento”.
E per questo devo ringraziare sempre il mio amico Cesare, insieme però ad un altro validissimo musicista e amico: Alessandro Boraso.
Hanno rivisitato i temi di Taste of Art composti da Cesare e da adesso ci accompagneranno nelle prossime puntate.
Li ringrazio, come ringrazio voi per l’ascolto e vi aspetto tra due settimane!