Paestum.
Una delle città meglio conservate della Magna Grecia.
Questa è l’antica Poseidonia.
Fondata dagli abitanti di Sibari per avere un caposaldo affacciato sul Tirreno lì dove già in epoca preistorica esistevano degli insediamenti.
Quando si giunge in Campania per visitare il ricco patrimonio archeologico e artistico della regione molti prima di tutto si fiondano a Pompei; e, lo devo ammettere, anche io ho fatto così… ma questa è un’altra storia, che vi racconterò in una prossima puntata.
Però, fidatevi, fareste davvero, e sottolineo davvero, un grave errore a non recarvi al Parco Archeologico di Paestum.
Era l’agosto del 2017 quando, il giorno dopo aver visitato gli scavi di Pompei, decisi di prendere l’auto e raggiungere Paestum.
Avevo scelto come base per tre notti appunto la città famosa per i suoi scavi, ma era mia intenzione fare incetta anche di altri siti archeologici campani.
Durante il tragitto in direzione del parco per un paio di volte mi sono sentito come un novello Ulisse, tentato dalle sirene e dal loro canto.
A differenza dell’eroe omerico però le mie sirene avevano le fattezze della Costiera Amalfitana e della “Zizzona” di Battipaglia.
Ora vi spiego.
La giornata era soleggiata e caldissima, e vedendo dalla macchina il paesaggio da sogno della Costiera che si apriva davanti ai miei occhi, l’idea di cambiare itinerario, farmi un bagno e in seguito mangiare una pizza ad Amalfi mi stuzzicava.
Ma il desiderio di vedere Paestum mi fece desistere da questa prima tentazione.
Il secondo “canto delle sirene” arrivò, però, in un momento critico.
Ero ormai vicino alla meta, avevo sbagliato un paio di volte strada e iniziavo a sentire un certo appetito, quando ad un tratto mi ritrovai davanti ad una gastronomia molto invitante che indicava tra le sue specialità “la vera Zizzona di Battipaglia”.
Erano però solo le undici del mattino, mi avrebbero scambiato probabilmente per un pittoresco turista che voleva fare una colazione alternativa a base di mozzarelle, così a malincuore tenni il mio stomaco a bada.
Arrivato a Capaccio Paestum (nome attuale del paese), parcheggiato e fatto il biglietto al museo archeologico per poter accedere al parco, mi sono poi finalmente addentrato al suo interno.
Inserito nella lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1998, il sito ospita i resti della famosa città della Magna Grecia e dei suoi spazi pubblici anche di successiva epoca romana, tra i quali spiccano i tre templi dedicati ai due santuari della città: la cosiddetta Basilica (o tempio di Hera), il Tempio di Nettuno e il Tempio di Cerere (dedicato in realtà ad Atena).
I loro profili sono ben distinguibili già dalla strada che costeggia il parco e la loro imponenza rapisce immediatamente gli occhi di chi li osserva.
Dopo essere stato teneramente assalito da due cagnolini, che da come si muovevano per il parco dovevano esserne assidui frequentatori, mi sono incamminato verso il Tempio di Cerere, che si trova a ridosso dell’ingresso.
Realizzato intono al 500 a.C. con una struttura impostata sull’ordine dorico, alla vista risulta più semplice (per quanto possa essere definito semplice un tempio greco antico di millenni) rispetto agli altri.
Archeologi e studiosi sono arrivati alla conclusione che fosse dedicato ad Atena anche grazie a un cospicuo numero di armi in bronzo, trovate a ridosso di esso che non potevano che essere doni per la dea della conoscenza e della guerra.
A differenza dei suoi “compagni” non era però possibile accedere al suo interno.
Invece, dopo aver passeggiato osservando i resti di antichi edifici come foro, curia, terme e parte dell’anfiteatro, mi sono trovato al cospetto dell’imponente, e ben conservato, tempio di Nettuno, della metà del V secolo a.C.
Avvicinandomi era impossibile non restare ammaliati da tanta perfezione: puro esempio dei paradigmi dell’architettura classica greca, presenta inoltre analogie con il grande tempio di Zeus a Olimpia, edificato all’incirca nello stesso periodo. Anche se, e lasciatemelo dire con un po’ di orgoglio nazionale, il tempio di Nettuno è conservato meglio di quello della città dei giochi olimpici.
Che poi, tra l’altro, viene definito “di Nettuno”, ma ad oggi si ipotizza maggiormente che potesse essere dedicato anche questo a Hera, o forse a Zeus.
Comunque, le maestose colonne doriche della sua facciata mi invitavano ad entrare al suo interno e, non essendoci molti visitatori in quel momento, mi sono preso un po’ di tempo per sedermi al suo interno e rilassarmi, cercando di immaginare ogni dettaglio di come doveva essere al culmine del suo splendore, con la sua cella divisa in tre navate da due alti colonnati su due piani.
C’era qualcosa di potente e reverenziale in quel luogo.
Ho perfino chiuso gli occhi e assaporato il senso di pace che riusciva a trasmettermi.
Proprio per le sensazioni provate trovo quindi splendida e soprattutto utile la possibilità di comprare un abbonamento annuale che, con un prezzo davvero contenuto, permette di usufruire per tutto l’anno degli spazi dell’area archeologica (insieme anche a quelli di Velia, visto che, per essere corretti, il nome ufficiale del Parco è Parco Archeologico di Paestum e Velia). Per gli abitanti locali e delle zone limitrofe è sicuramente un ottimo luogo dove incontrarsi e trascorrere del tempo.
Dopo aver visitato l’ultimo tempio (il più antico) chiamato “Basilica” perché, quando nel Settecento si iniziarono a compiere studi sui templi si pensò potesse essere una basilica adibita quindi a tribunale e dedicata ad assemblee dei cittadini, sono andato a vedere nel museo archeologico a pochi passi dal parco quella che viene considerata un’eccezionale testimonianza della pittura greca a grandi dimensioni: la Tomba del Tuffatore.
Su lastre di travertino, che andavano a formare la tomba vera e propria del 475 a.C. circa ritrovata a due chilometri a sud di Paestum, furono rappresentate scene di simposio e la principale, che raffigura un giovane che si tuffa nel mare (simbolo del passaggio dalla vita alla morte), è una delle immagini più iconiche dell’arte antica occidentale.
Il museo, davvero ben allestito, contiene anche molte altre interessanti opere che spaziano dall’età preistorica a quella romana, e oltre alla tomba non potrete fare a meno di guardare con attenzione, una ad una, le metope del Santuario di Hera alla foce del Sele, che accolgono il visitatore al suo ingresso.
Il santuario sorgeva a circa nove chilometri da Poseidonia, e secondo la leggenda fu fondato da Giasone.
Anche se le metope sono esposte al Museo Archeologico di Paestum, lì dove sorgeva il santuario è ancora possibile osservare i resti di epoca greca e romana e soprattutto entrare all’interno di un museo “narrante”: infatti, in una vecchia masseria restaurata pannelli, video, installazioni e ricostruzioni 3D raccontano al pubblico la storia del santuario e della sua scoperta.
Insomma, pensando ancora a Ulisse, qui è possibile “seguire virtù e conoscenza”.
Pienamente soddisfatto dalla visita, prima di ritornare a Pompei ho anche fatto un giro a Torre Annunziata, per visitare la famosa villa di Poppea.
Ma, come ho detto anche all’inizio, questo fa parte di un’altra storia…
Però ci tengo ad informarvi di una cosa: sulla strada del ritorno non ho resistito e mi sono fermato ad assaggiare la “Zizzona”.
E, devo ammetterlo, era davvero buona.
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Ci sentiamo il 19 febbraio, dove vi parlerò del mio viaggio in Giordania alla scoperta di Petra… e non solo.
Ciao a tutti!