Puntata 47 – Atene

Kalimera a tutti, carissimi amici di Taste of Art!

Le piacevoli sensazioni vissute da Valeriya e il sottoscritto poche settimane fa ad Atene sono ancora fresche dentro di noi; e proprio per questo desidero subito condividerle con voi. Come già sapete la Grecia è uno degli Stati che porto maggiormente nel cuore, ma di Atene avevo un ricordo nebuloso, avendola vista solo durante una gita ai tempi del liceo. E ammetto che in quel momento la scoperta della città non era il mio obiettivo principale.

Valeriya, inoltre, non ci era mai stata. Quindi mi era parsa proprio un’ottima idea sfruttare il ponte del 31 ottobre scorso per tornare finalmente sul suolo ellenico e dedicarci con calma all’esplorazione della sua capitale.

Siete pronti? Inoltriamoci insieme nelle strade di Atene.

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Eravamo atterrati nella capitale greca, come detto prima, la sera del 31 ottobre e dopo una gradevole chiacchierata con il conducente del taxi che subito mi aveva ricordato quanto da sempre adoro la cordialità del popolo greco (soprattutto con noi italiani) eravamo arrivati al nostro hotel (l’Athens Psiri Hotel, semplice ma molto pulito e con uno staff accogliente e premuroso); ci eravamo riposati per essere pronti subito la mattina seguente a visitare il simbolo principale di Atene: l’Acropoli.

 

Alle 8:30 eravamo già lì, per evitare la ressa di turisti che infatti circa un’ora dopo aveva iniziato a invadere quello che è uno dei più importanti siti archeologici del mondo. Dichiarata patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1987, si eleva per quasi 160 metri sul livello del mare, rendendola visibile da quasi ogni angolo di Atene. Superati gli imponenti Propilei, che costituiscono l’ingresso monumentale all’Acropoli, subito davanti ai nostri occhi si era stagliato, attraversato dai raggi del sole, il Partenone. Tempio greco per eccellenza, mix di ordine dorico e ionico, il monumento più famoso della Grecia sta subendo diversi restauri, quindi purtroppo attualmente dovrete ammirare la sua massiccia sagoma in parte coperta da impalcature. Per fortuna, però, intorno ad esso i capolavori dell’architettura greca non mancano: l’Eretteo, elegante tempio ionico famoso per la sua loggia con le celebri Cariatidi (quelle oggi presenti sono copie, le originali si trovano dentro il Museo dell’Acropoli, di cui tra poco vi parlerò) e l’Odeion di Erode Attico, sublime teatro di epoca romana utilizzato ancora per eventi e spettacoli.

Scappati appena prima che la ressa di turisti rendesse poco piacevole l’inizio del nostro personale tour ateniese ci eravamo rifugiati nel recente Museo dell’Acropoli. Questa sede museale fu infatti aperta nel 2009 per raccogliere e esporre materiali e reperti rivenuti esclusivamente dall’Acropoli e soprattutto, per ricordare al mondo che i marmi del Partenone attualmente conservati al British Museum troverebbero una sede per loro decisamente più consona, se fossero esposti in questo luogo creato appositamente per loro. L’ultimo piano della struttura, tra l’altro, è orientato diversamente dal resto dell’edificio, scelta architettonica compiuta per seguire l’orientamento reale del Partenone a poca distanza da esso; in questo spazio sono esposte tutte le parti del fregio originale del tempio principale dell’Acropoli attualmente in possesso al governo greco e copie di quelle esposte a Londra per permettere al visitatore di comprendere come dovevano apparire in antichità, impostate sull’edificio originale. Condivido il pensiero di molti, cioè che in questo caso specifico la restituzione dei marmi alla Grecia avrebbe molto più senso e sarebbero indiscutibilmente più valorizzati. Nel complesso consiglio comunque di visitare il Museo, anche solo per apprezzarne la pregevole architettura e gli allestimenti.

Usciti, con il sole sempre più caldo tanto da togliersi giubbotti e felpe e restare in maglietta, ci eravamo incamminati con l’intenzione di vedere le altre attrazioni principali del centro storico. Superato l’Arco di Adriano, conservato in tutta la sua altezza anche se purtroppo mancano le colonne del livello inferiore, eravamo entrati rapidamente nel sito in cui sorgeva il Tempio di Zeus Olimpo (dove però ad oggi restano solo 15 colonne in piedi, che permettono di farsi un’idea di quanto fosse imponente in antichità) per poi raggiungere il Kallimarmaro, lo Stadio Panathinaiko celebre soprattutto per essere l’unico grande stadio antico costruito interamente in marmo pentelico. Realizzato a metà del 500 a.C., ampliato da Erode Attico nel 140 d.C., fu restaurato a fine dell’Ottocento e durante le Olimpiadi del 2004 fu sede di diverse gare, arrivando a ospitare oltre 28000 spettatori.

La prima delle due vere sorprese di quella giornata era però arrivata dopo la visione dello stadio. Ci eravamo infatti spostati nelle principali aree verdi del centro città: i giardini dello Zappeion e soprattutto il grande Giardino Nazionale. Lo Zappeion è un fastoso edificio neoclassico utilizzato principalmente per convegni ed eventi, dove meritano almeno un fugace sguardo le decorazioni del suo atrio. Il Giardino Nazionale di Atene, invece, è una vera e propria chicca appena dietro Piazza Syntagma che permette di godersi una piacevole passeggiata, immergendosi in un luogo ricco di fascino capace di estraniarti dal caos del centro città, permettendo di credere di trovarsi a km e km dal cuore di Atene. Questo parco di circa 15 ettari fu progettato dall’architetto tedesco Frederick Schmidt a metà Ottocento, importando oltre 500 specie animali e vegetali. Non tutte queste specie sono sopravvissute al clima, ma diversi volatili e grandi tartarughe si aggirano ancora tranquillamente per i giardini dove stagni e pergole allietano la passeggiata. Davvero un luogo di pace e tranquillità che vi consiglio vivamente!

Uscendo dai giardini si sbatte praticamente su Piazza Syntagma, e noi eravamo arrivati proprio giusti per assistere al celebre cambio della guardia, che avviene ogni ora davanti al Parlamento. Se non l’avete mai visto non potete perdervelo dal vivo. Si resta incantati a osservare la precisione con cui vengono compiuti i movimenti (quasi una scena in slow motion) che portano al cambio di turno degli Euzoni, i soldati scelti di fanteria da montagna dell’esercito a cui è affidato questo importante compito. Entrati poi nella Chiesa Metropolitana dell’Annunciazione, la più importante chiesa ortodossa di Atene, e pranzato nel buono, ma caotico e turistico, O Thanasis, eravamo arrivati al sito archeologico della Biblioteca di Adriano che, però, avevamo dovuto letteralmente visitare di corsa perché anche se ci era stato detto che il sito avrebbe chiuso mezz’ora dopo il nostro ingresso (erano solo le 14:30 e chiudeva alle 15:00) l’addetto al controllo del sito che monitorava il cuore dell’area aveva deciso che la sua giornata di lavoro doveva aver termine e, soffiando a più non posso nel suo fischietto portato fieramente al collo, obbligava con fare non troppo amichevole i turisti, che facevano notare di avere ancora tempo, a uscire comunque dal sito. Fermatici allora ad accarezzare l’ennesimo tenero e coccoloso gattone della città incontrato sulla nostra strada eravamo giunti lì dove personalmente, ma posso affermare che anche Valeriya ne era rimasta piacevolmente stupita, avevo ricevuto la seconda sorpresa della giornata. Avevamo infatti superato l’ingresso che permetteva l’accesso all’Antica Agorà di Atene dove subito a sinistra è possibile ammirare la versione totalmente ricostruita dalla scuola americana di studi classici di Atene dell’antica Stoa di Attalo, l’elegante e armoniosa struttura porticata di oltre 110 metri donata dal re di pergamo Attalo II nel 140 a.C.; le stoa erano luoghi di incontro, riflessione, passeggio e meditazione e attraversarla osservando il sole che con i suoi raggi creava giochi di ombre con le colonne, scrutando il resto dell’agorà con il Tempio di Efesto (uno dei templi dorici meglio conservati al mondo) sullo sfondo davvero mi aveva fatto tornare indietro di quasi due millenni. Provavamo una pace indescrivibile camminando in quella vasta area ai piedi dell’acropoli e devo ammettere che è stato probabilmente il luogo che maggiormente ha catturato la mia attenzione in questo viaggio.

Soddisfatti per ciò che avevamo visto avevamo concluso il primo giorno osservando al tramonto la Torre dei Venti nella più piccola agorà romana e attraversato il pittoresco quartiere di Anafiotika, celebre in quanto sembra catapultare i suoi visitatori nel pieno dei vicoli dalle caratteristiche case bianche delle piccole cittadine marittime delle isole greche. Prima di rientrare in hotel avevamo però cenato all’Avli, ristorante dalle atmosfere ancora autentiche diventato famoso grazie ai tanti video ad esso dedicati su Instagram e tik tok per via del suo stile conviviale, situato in una location che dall’esterno non inviterebbe ad entrare, ma che invece poi si trasforma totalmente attraversata la sua soglia, con piatti tipici e decisamente meno turistici di quelli che si possono solitamente trovare in centro, a prezzi onestissimi. Mi aveva dato sensazioni positive il fatto che nella fila per l’attesa di un tavolo (noi ne avevamo fatta poca perché erano solo le 19 di sera, ma state attenti perché più tardi può essere molto lunga) c’erano anche molti greci che parevano essere classici frequentatori del ristorante. E la nostra attesa era stata pienamente ripagata.

Con un bel sonno rigenerante, fatta colazione per il secondo giorno di fila con spinacopita e pita con formaggio al Coffe Lab vicino al nostro hotel, eravamo giunti dinnanzi al più prestigioso museo di Atene: il Museo Archeologico Nazionale. Allora, devo essere onesto: le sue collezioni sono straordinarie, con alcuni tra i reperti dell’archeologia più importanti mai ritrovati come la Maschera di Agamennone, la statua bronzea rappresentante Zeus o Poseidone di Capo Artemisio, l’anfora del Dipylon e molto altro ancora; però se non si è conoscitori (nel dettaglio) della materia è difficile comprendere l’ordine delle sale e le collezioni che vi sono esposte in quanto non viene seguito un ordine cronologico tra esse. E poi, mi spiace dirlo, avrebbe bisogno di una svecchiata degli allestimenti. Detto ciò, resta comunque una meta obbligatoria per chi apprezza l’archeologia.

Da lì avevamo camminato curiosi per il quartiere di Exarchia, zona alternativa e ribelle della città, dallo spirito anarchico cha fa credere possa essere un luogo pericoloso ma dove invece era stato davvero interessante attraversare il suo lungo, ricco, colorato e vivace mercato della frutta e alimentari; e avevamo fatto incetta di gustosissime olive di ogni tipo. L’attraversamento di questo quartiere era però legato al fatto che almeno una salita con cui essere guardato male da Valeriya in ogni nostro viaggio non può mancare. Chi mi ascolta da tempo si ricorderà di Sintra e Napoli, in questo caso invece la scelta era ricaduta sul Colle Licabetto, da cui è possibile avere una delle migliori vedute panoramiche della città e visitare la piccola e suggestiva cappella ortodossa di San Giorgio. Se non siete amanti delle salite state tranquilli, esiste anche la funicolare. Ma non ricordatelo a Valeriya per favore! Per fortuna però la sua polemica nei miei confronti era stata addolcita della presenza di una tenerissima gattona a cui stavamo particolarmente simpatici che sia nella salita ma soprattutto nella discesa aveva cercato così tante coccole che eravamo sul limite di portarcela via con noi.

Ridiscesi, con ancora la tentazione di tornare indietro a prendere la gattona, avevamo mangiato gustosi falafel al  Falafel tou Psyrri, fatto un altro giro in centro e passeggiato al tramonto tra le splendide architetture ispirate al mondo classico che formano il trittico accademico universitario della Biblioteca Nazionale, della sede centrale dell’Università e dell’Accademia.

Avevamo concluso la nostra visita alla capitale greca camminando da buoni turisti tra le caotiche e affollate vie che portano a Piazza Monastiraki e attraversano il quartierie della Plaka alla ricerca di souvenir, prima di sederci a cenare in un ristorante scovato da Valeriya che era stato davvero in grado di riportarmi a più di dieci anni fa, quando con la macchina mi avventuravo tra le zone più remote del peloponneso, della penisola calcidica, o del pelio ad esempio. Il ristorante in questione era la Taverna Nikitas. E la gentilezza dei padroni di casa, unita alla qualità del cibo proposto, ha saputo ripotarmi a dolci, culinari ricordi ellenici.

La mattina dopo, all’aeroporto, per non sprecarle, Valeriya aveva trovato il coraggio di sorseggiare un cappuccino finendo le ultime olive che ci erano rimaste, io non avevo avuto tanto coraggio. Però ero davvero felice di vederla rilassata dopo quei due giorni Ateniesi. Perché, forse, almeno un po’ ha potuto comprendere cosa provo io ogni volta che ritorno in questa splendida terra chiamata Grecia.


Come al solito prendo una breve pausa a cavallo del periodo natalizio. Tra l’altro Valeriya ed io faremo in questo periodo un viaggio in Egitto alla scoperta di mete desidero vedere da tanti anni. Quindi preparatevi ad altre, succose, puntate. Intanto vi aspetto venerdì 21 febbraio per la prima parte del nostro viaggio on the road in lungo e in largo per la Slovenia, che abbiamo compiuto l’estate scorsa! Vi auguro con un po’ di anticipo di trascorrere delle buone feste.

Ci sentiamo nel 2025!

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