Puntata 50 – Sarajevo

Ormai di BerTour ne avete sentiti molti, e di alcuni avvenuti molti anni or sono non ve ne ho ancora parlato. Anche perché dei primissimi restano nella mia mente i momenti e i luoghi più salienti, ma dettagli con cui creare le puntate forse scarseggerebbero. Per fortuna, anche se con meno frequenza del solito, i miei fedeli amici e io qualche giorno in giro insieme riusciamo a regalarcelo anche adesso; però più passano gli anni più le compagnie aeree sembrano schifare i voli con partono il venerdì sera e ritorno la domenica sera, in molte città d’Europa. Soprattutto in quelle che mancano ancora al nostro appello!

Il buon Bert però aveva trovato, per uno degli ultimi week end di novembre dell’anno appena passato, una meta che sta diventando sempre più gettonata per quello che ha da offrire, per la dimensione giusta per visitarla bene in un paio di giorni e anche per essere a buon mercato. Sto parlando di Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina. Per noi sarebbe stato troppo tranquillo passare il tempo solo lì, quindi avevamo deciso di vedere anche Mostar. E, a questo giro, oltre a me, Bert, Giuseppe, Alessio e Roberto si era aggiunta una new entry, il cui nome a voi però dovrebbe suonare familiare: il famoso Cesare Tobia Bonomi, amico, musicista e autore delle musiche di questo podcast!

Anzi, direi di partire, dopo questo lunga introduzione, e iniziare a parlarvi di Sarajevo!

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Atterrati la sera di venerdì 22 novembre, appena fuori dall’innevato aeroporto avevamo salutato un paio di cagnolini che giocavano in mezzo alla neve e recuperato il van con cui l’ottimo autista Roberto ci avrebbe scarrozzato nelle spesso non facilmente percorribili strade bosniache.

 

Avevamo lasciato subito i bagagli nel nostro appartamento non lontano dal centro e a piedi, cercando di non scivolare sulla neve ghiacciata, ci eravamo diretti verso il Bašcaršija, l’area dello storico mercato centrale della città, mix di culture, dove svetta anche la Sebiji, iconica fontana cittadina del Settecento. E già solo da quella prima occhiata avevo capito che avevamo scelto una meta molto interessante. Partiamo dal fatto che la storia di Sarajevo basterebbe a metterla nel novero delle città che devono essere assolutamente visitate: è da sempre un ponte tra occidente e oriente, dove differenti religioni e culture hanno convissuto e convivono, e dove, purtroppo sono ancora evidenti segni delle guerre che l’hanno colpita. Qui cristiani sia cattolici sia ortodossi, musulmani e ebrei hanno saputo accettarsi pacificamente per lunghi periodi della sua storia, anche se il periodo degli assedi da parte delle forze serbe negli anni ’90 durante le guerre balcaniche ha lasciato devastati non solo i palazzi (e ancora oggi, fuori dal centro, si possono vedere a distanza di trent’anni i segni di quegli scontri su molti di essi) ma anche i popoli che riuscivano a vivere in armonia insieme. Ora però Sarajevo sta vivendo una vera rinascita, con locali vivaci, un turismo crescente e la volontà di far conoscere al mondo la sua storia e la sua cultura.

Anche se noi, l’ammetto, la prima cosa che ci conquista sempre di un nuovo luogo che visitiamo è il cibo e, infatti, super affamati proprio davanti alla piazza del mercato avevamo trovato un panettiere che non ci avrebbe abbandonato anche nei due giorni seguenti, per le delizie che praticamente ad ogni ora sfornava calde e gustose. Si chiama Pekara Edin e dovete assolutamente farci un salto per assaggiare i suoi burek! Cioè gustosi rotoli di pasta fillo ripieni di carne, formaggio o verdure.

Con la pancia piena avevamo fatto un rapido giro, anche se essendo tardi l’unica cosa che potevamo fare era rintanarci, dopo aver però ammirato il celebre Ponte Latino illuminato dalle luci serali, al City Pub, locale dallo stile anglossassone con musica dal vivo e soprattutto dove il fumo al chiuso non era vietato (e abbiamo poi scoperto che era così anche nei locali seguenti). Spoiler: nessuno di noi fuma. Vi lascio immaginare quindi quanto erano felici i nostri polmoni! Usciti eravamo ripassati davanti al Ponte Latino, importantissimo sotto l’aspetto storico perché è lì che il 28 giugno 1914 fu assassinato l’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando, scatenando di fatto la prima guerra mondiale! Sul marciapiede davanti al ponte è proprio segnalato il punto esatto in cui avvenne l’assassinio.

Con cibo e birra bosniaca in corpo, riscaldati, avevamo nuovamente affrontato il freddo per tornare a casa, fermandoci però ad ammirare dall’esterno la piccola moschea di Alì Pascia innevata. E la cosa mi aveva incantato perché di moschee ne ho viste tante, ma era la prima volta che ne vedevo una coperta dalla neve.

Ma era il momento di dormire perché, la mattina, ci saremmo mossi in direzione di Mostar.

In realtà, la prima cosa fatta appena svegli era stata tornare a quella che avevamo già eletto come nostra panetteria preferita di qualsiasi BerTour, poi eravamo saliti sul nostro monovolume e intrapreso la lunga strada che ci avrebbe portato verso questa nota cittadina. Anzi, per l’esattezza la nostra prima meta di giornata sarebbe stato il monastero derviscio di Blagaj, a pochi chilometri di distanza da Mostar. Era stato Giuseppe, durante le sue ricerche, a proporci di vederlo e subito avevamo pensato, dalle poche foto viste su internet, che meritasse!

Intanto, per chi non lo sapesse, i dervisci sono discepoli di confraternite religiose islamiche che vivono in modo ascetico, distaccandosi da tutto e tutti per vivere in pace, nella meditazione totale.

Raggiungerlo da Sarajevo era stata già di per sé un’esperienza. Calcolate che (allo stesso modo di come ho recentemente parlato delle strade della Slovenia), le vie di comunicazione fuori dalle città principali sono in alcuni punti ancora abbastanza datate, quindi le strade si snodano tra colline e montagne e in alcuni punti il traffico si congestiona. Per fare 120 km ci avevamo messo più di due ore. Con il tempo tra l’altro, a un certo punto, per me e Giuseppe di scendere in corsa dal monovolume, prendere da un piccolo market sulla strada bottiglie d’acqua per tutti e risalire sempre in movimento, tanto il traffico era così intenso da non permettere di muoversi a poco più che una decina di chilometri orari. Nel mezzo però, avevamo visto mutare il paesaggio intorno a noi in modo spettacolare: appena fuori da Sarajevo la neve copriva come un fitto manto bianco tutto il panorama intorno alla strada, mentre quando ormai ci avvicinavamo alla nostra meta sole e cielo limpido mostravano monti rocciosi attraversati da ruscelli e ornati da rigogliosi angoli di verde.

Parlando del monastero:

La sua struttura si trova incastonata in una parete rocciosa nel punto dove il fiume Buna termina il suo percorso sotterraneo, mostrandosi con tutta la sua forza alla luce del sole. Già questa immagine appagherebbe e darebbe valore al viaggio. Guardandosi poi intorno, osservando la natura che lo circonda, si capisce perché sia stata scelta questa posizione per edificarlo.

Il monastero di per sé è piccolo, a vederlo al suo interno non ci avevamo messo molto tempo, ma era molto affascinate girare tra le varie stanze che si affacciavano su quel fiabesco panorama. L’interno rispecchiava lo stile classico dei luoghi di culto islamici (infatti bisogna togliersi le scarpe, e col freschino che faceva non avevamo indugiato oltre il necessario nella visita).

Ritornati sull’auto avevamo raggiunto Mostar, dove i posti per fermare i veicoli scarseggiavano e Roberto aveva compiuto una vera impresa per parcheggiare in un piccolo parcheggio a pagamento nel quale pareva impossibile che il nostro grande mezzo di trasporto potesse entrare.

Come sempre, quando la fame chiama noi non sappiamo resistere e quindi, prima di visitare davvero la città, ci eravamo fermati a magiare degli squisiti cevapcici (le piccole salsicce arrosto, tipiche di molti paesi balcanici) in un locale in centro e poi avevamo esplorato il cuore di questo luogo attraversato da fiume Neretva che ha vissuto forti distruzioni durante le guerre balcaniche ma adesso il suo centro storico, dove spicca il quartiere ottomano restaurato, è un vero gioiello, diventato estremamente ricercato dai turisti, forse più di Sarajevo stessa. A distanza di trent’anni, però, appena si esce dalle zone più turistiche sono ancora visibili i segni della guerra.

Il simbolo della città è lo Stari Most, il ponte a schiena d’asino lungo 30 metri circa dove avevamo rischiato di ucciderci perché il suo pavimento quel giorno era ghiacciato, quindi attraversarlo era stata un’impresa! Patrimonio Unesco, fu commissionato da Solimano il Magnifico a metà del Cinquecento. Quella che si vede, però, è la sua ricostruzione perché fu distrutto durante la guerra nel 1993 e poi immediatamente riedificato, utilizzando molti dei suoi blocchi originari.

Come il ponte, fa parte del patrimonio dell’umanità anche il Vecchio Bazar, ancora oggi pieno di negozi e locali che si affacciano ai lati della strada acciottolata che lo attraversa.

Da ultimo avevamo anche visitato la Moschea di Koski Mehmed PaŠa, sobria al suo interno ma che permette, salendo sul suo claustrofobico minareto, di avere una vista mozzafiato della città!

Tornati al nostro veicolo e percorsa a ritroso la lunga strada verso Sarajevo avevamo fatto un giro in centro, che la sera secondo me acquista ancora più fascino e fatto visita alla Fiamma Eterna, il memoriale delle vittime della seconda guerra mondiale dove, appunto, questa fiamma brucia ininterrottamente a ricordo delle sofferenze subite dal popolo bosniaco.

Il freddo diventava sempre più pungente e quindi ci eravamo rintanati per cena in un locale molto accogliente, e dall’ottima cucina tipica, sulle sponde del fiume: l’Inat Kuca, sulla sponda opposta rispetto al ricostruito municipio della città.

Satolli nuovamente con l’ottimo cibo e la birra bosniaca avevamo continuato la nostra serata tra i locali della città, rientrando con i vestiti pregni del fumo passivo di tutta la gente presente nei club.

La nostra ultima mattina l’avevamo trascorsa visitando i monumenti della capitale:

Eravamo tornati davanti a Municipio che è ospitato dentro la storca struttura della Biblioteca Nazionale ed Universitaria della Bosnia Erzegovina, completamente disintegrata durante la guerra ma ora tornata al suo originario splendore. Qui spiccano soprattutto le vetrate e le architetture della hall d’ingresso. Attraversato il ponte latino avevamo raggiunto la Moschea dell’Imperatore che pareva chiusa, ma una gentilissima signora che si occupava della manutenzione del giardino in quel momento doveva essersi così impietosita dalle nostre facce affrante da farci segno di aspettarla per vederla poi tornare con le chiavi del cancello in mano per permetterci di entrare. Il suo minareto è considerato il più bello dello Stato, ed effettivamente eravamo stati fortunati a poterla visitare. Molto caratteristico è anche il suo piccolo cimitero, dove trovano riposo diversi visir, mullah e sceicchi.

Nella cattedrale cattolica del sacro cuore eravamo potuti entrare solo rapidamente, perché c’era messa ed era ricolma di persone, così come per la cattedrale ortodossa.  Mentre della Moschea Gazi Husrev-beg, la più grande dello stato, avevamo guardato solo l’esterno, che comunque era bastato per riempire i nostri occhi di bellezza.

Ma il tempo scarseggiava e mancavano ancora due mete fondamentali!

Con il van avevamo raggiunto, fuori dal centro città, il Caffè Tito, folcloristico locale a tema totalmente comunista (perfino le pareti erano tutte rosse) dedicato al celebre e controverso presidente della Jugoslavia Josip Tito. Che apprezziate o no il personaggio, personalmente vi direi di andare a berci qualcosa solo per la sua location molto particolare.

Per concludere avevamo deciso di visitare il Tunnel della Salvezza, ed era stata sicuramente l’esperienza più toccante di quei giorni.  Questo Tunnel fu costruito da volontari bosniaci tra il 1992 e il 1995 per collegare, durante gli scontri, le città libere di Dobrinja e Butmir. Poco del percorso originale di 800 metri è ancora visitabile, solo 25 metri per la precisione, ma guardando anche le immagini di repertorio presenti nel museo si può comprendere quando difficili siano stati quegli anni per la popolazione bosniaca.

Mi resta sempre complicato comprendere, ogni volta che mi capita di visitare luoghi dove ancora si respirano gli echi di devastazioni e guerre, come il mondo e i popoli non imparino dai loro errori e continuino a scontrarsi, piuttosto che vivere in pace e armonia.

Con il tunnel avevamo chiuso il nostro week end pieno di emozioni nella affascinante Sarajevo, e ciò che posso fare è solo dirvi di non perdere altro tempo. Cercate il primo volo disponibile e correte a visitarla!


Con la puntata numero 50 mi fermo per un po’! Anche perché nei prossimi mesi aggiungerò mete molto interessanti di cui vi vorrò parlare.

Però dopo questa pausa, vi do già appuntamento a venerdì 26 settembre per la prima parte del lungo viaggio fatto da me è Valeriya a cavallo di capodanno scorso nella Terra dei Faraoni. Tornerò al Cairo, aggiungendo nuove chicche e soprattutto vi porterò alla scoperta dei luoghi iconici sulle sponde del Nilo!

Buona estate, e a presto!

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