Da quando è iniziata la pandemia non è stato semplice viaggiare.
Vincoli, regole in continuo cambiamento, moduli da compilare… situazioni che portano a perdere, almeno un po’, lo slancio e la voglia anche solo di sognare la prossima meta.
Però, bisogna restare sempre positivi, anche se dirlo in questo periodo potrebbe quasi suonare stonato, e sfruttare ogni spiraglio di luce che ci viene offerto.
Sotto qualsiasi aspetto, non solo riguardo i viaggi.
I miei amici del BerTour ed io volevamo riassaporare il piacere di condividere un nuovo viaggio insieme e così, il sempre pronto Bert, aveva cercato di capire alcuni mesi fa se c’era qualcosa che verso novembre potevamo fare giusto nel week end, partendo venerdì sera e tornando domenica.
Tra le città europee che ancora mancavano al nostro appello una ci incuriosiva e, anche se sapevamo che vedere tutto quello che avremmo voluto in circa 48 ore sarebbe stato difficile, la nostra scelta era ricaduta comunque su Cracovia, insieme alle Miniere di Sale della vicina Wieliczka e, soprattutto, ad Auschwitz.
Come ormai ben sapete, nei BerTour situazioni fuori dagli schemi sono sempre state all’ordine del giorno.
E anche in questo viaggio, ovviamente, non sono mancate.
Ve le racconto, mentre vi porto insieme ai miei inseparabili amici, nel nostro viaggio in Polonia.
Gruppo quasi al completo questa volta. Con me c’erano infatti Davide, Giuseppe, Roberto, Alessio e, ovviamente, il buon Bert!
Eravamo arrivati con due macchine diverse a Linate verso le 19:00, perché per questioni geografiche e lavorative non eravamo partiti tutti insieme… anzi, io, Bert e Davide eravamo arrivati a quell’ora mentre gli altri tre si erano persi nel traffico milanese giungendo in ritardo con un borbottante Alessio che si lamentava del suo stressante, e puntiglioso, copilota Giuseppe. Roberto, alle loro spalle, se la rideva.
Atterrati all’aeroporto di Cracovia, e preso possesso dell’auto a noleggio a sei posti che avevamo prenotato, ci eravamo diretti verso il centro città per raggiungere il nostro appartamento.
Il navigatore ci portava sempre più vicino, praticamente eravamo quasi in Piazza del Mercato, la piazza più importante della città dove si trovava l’appartamento, e a noi non parevano esserci divieti di transito o parcheggio.
Lasciata l’auto al limite di quella che sembrava una ztl, in pochi minuti a piedi avevamo raggiunto l’appartamento: un attico con vista sulla piazza, che Davide aveva scovato ad una cifra davvero onesta su Booking: il Market Square Residence, che assolutamente suggerisco.
Avevamo quindi chiesto alla gentile proprietaria se il luogo scelto per posteggiare l’auto poteva andare bene.
Ovviamente, no!
Quindi Davide, Bert ed io, che ci stavamo mettendo comodi, ma eravamo stati più lenti degli altri, già ben piazzati nelle stanze, eravamo tornati alla macchina iniziando a girare nelle zone consigliate dalla proprietaria, fino a trovare finalmente un parcheggio.
Nel tragitto di ritorno avevamo potuto però avere un leggero assaggio della vita notturna della città, che sembrava molto calda e movimentata, a dispetto delle temperature molto basse.
Avevamo però cinque ore di sonno scarse a nostra disposizione, prima di andare, la mattina seguente, a visitare i campi di concertamento di Auschwitz e Birkenau.
La mattina, poco dopo le 8:00, eravamo già fuori dall’appartamento; avevamo prenotato l’unica visita giornaliera ai campi di concentramento con guida in lingua italiana che sarebbe iniziata alle 11:30 circa, e volevamo fare colazione prima di partire.
Gironzolando per la vastissima e ancora vuota Piazza del Mercato, con al centro l’imponente Palazzo del Mercato dei Tessuti (ricostruito dopo un incendio del 1555 in stile rinascimentale dall’italiano Santi Gucci) e la Basilica di Santa Maria in pieno stile gotico in uno dei suoi lati, ci eravamo però resi conto che prima delle 9:00 nessun bar sarebbe stato aperto e quindi la nostra salvezza era stata un turistico Starbucks.
Saliti in macchina avevamo circa un’ora di strada da percorrere, durante la quale ci addentravamo in zone sempre più libere dal grigiore dei palazzi e immerse nel verde; con il pericolo, però, di investire dei cervi! Fate assolutamente attenzione, perché il tragitto è pieno di queste magnifiche creature.
Prima di raccontare la toccante visita devo però assolutamente darvi un’avvertenza e fare una forte critica. Non so se la disorganizzazione era così anche prima del Covid, ma la gestione dei flussi d’ingresso ad Auschwitz era stata assolutamente imbarazzante, anzi oscena.
Con il rischio di portare i nervi a fior di pelle, togliendo la sacralità e il rispetto che questo luogo merita.
Praticamente, pur se il grosso delle persone fuori dal campo aveva prenotazioni con guide, divise su diversi orari, in realtà chiunque doveva fare la stessa coda, che si era trasformata in una vera e propria ressa. Il motivo? Tutti dovevano passare sotto un unico nebulizzatore, prima di accedere al punto di controllo dei biglietti.
Non c’era un vero info-point, ma solo un paio di addetti che gironzolavano in mezzo alla ressa. Loro, quasi mortificati, così come le guide poi all’interno, dicevano che bisognava per forza fare la coda e che i turni di visita sarebbero stati modificati in base alle effettive entrate.
Questo era vero in parte, però.
Nel caso degli italiani, ad esempio, chi come noi era arrivato con anticipo alla fine aveva potuto partecipare alla visita in lingua (già pagata) posticipata alle 12 e 45. Chi non riusciva poteva solo girare singolarmente senza guida per il campo. Che, per carità, sicuramente si può fare. Ma penso che in questo caso sia davvero utile avere una persona dedicata alla spiegazione dei luoghi.
Ancora allibiti avevamo iniziato la nostra visita.
A poco a poco, però, ogni cosa che poteva sembrare un problema diventava davvero futile, osservando quel luogo di dolore e morte.
Perché è così, lì si respira solo un senso di terrore, mai di speranza.
La visita iniziava dal campo di Auschwitz I, diventato anche museo dove attraverso foto, pannelli e, soprattutto, reperti si attraversano molti dei luoghi più terribili del campo.
Sono i resti degli oggetti, e di alcune parti dei corpi, delle vittime di questa inumana tragedia che danno un colpo al cuore.
Erano ancora conservate le pentole, le borse con i pochi averi che i deportati pensavano di poter poi tenere una volta giunti al campo… le scarpe.
Giuro, vedere migliaia di scarpe, anche di bambini, era stato terribile.
E in una grande stanza erano ancora conservati i capelli tagliati alle vittime.
Da restare senza parole.
Non si poteva far altro che rimanere in un triste silenzio anche dentro ad una delle camere a gas e soprattutto davanti al Muro della Morte, chiamato anche la Parete Nera, luogo delle fucilazioni posto tra il blocco 10 e il blocco 11 del campo.
La visita continuava poi nell’immenso campo di Auschwitz II – Birkenau, dove molto oggi risulta distrutto per lo squallido tentativo dei nazisti di cancellare quella mostruosità.
Nel momento di massima capienza era arrivato a contenere anche 100.000 prigionieri. Una cifra spaventosa.
E lì una cosa mi aveva dato modo di rendermi conto di quanto fosse brutale quel luogo:
Il freddo. Era il freddo che mi devastava.
Però mi vergognavo, a provare quella sensazione. Perché io ero solo un semplice visitatore per poche ore del campo. Lì, invece, per anni la gente in quel freddo aveva lavorato e sofferto. Lì, la gente era morta con solo pochi stracci addosso, per cercare di resistere, a quel freddo.
Che l’umanità possa non commettere di nuovo certe atrocità e chi ha così tanto sofferto non venga mai dimenticato.
Lo slittamento dell’orario di visita aveva però modificato i nostri piani; quindi, dopo aver (per così dire) pranzato alle 16:00 in un McDonald’s eravamo tornati in centro a Cracovia con l’idea di fare almeno una lunga passeggiata nei luoghi più importanti della città, visto che ormai era purtroppo troppo tardi per vedere la “Dama con l’ermellino” di Leonardo da Vinci al Museo Nazionale di Cracovia.
Fortunatamente durante il ritorno in macchina il nostro buon Giuseppe aveva preparato un possibile itinerario per farci avere almeno un’idea della città e quindi in circa un’ora e mezza di passeggiata eravamo riusciti a vedere:
Il castello di Cracovia dall’esterno, dove camminando sulle rive della Vistola (il fiume più lungo della Polonia) ci eravamo imbattuti nella statua di un drago che riporta ad una antica leggenda legata proprio all’imponente struttura e alla storia della città.
Il quartiere ebraico di Kazimierz, oggi vivace centro di locali, club, botteghe di artisti e negozi alla moda, reso famoso anche per essere stato il set di molte riprese del famoso film Schindler’s List.
Infine eravamo arrivati al luminoso e moderno ponte Father Bernatek, dove statue di trapezisti (che inizialmente facevano parte di una istallazione temporanea, ma alla fine si decise di lasciarli in maniera permanente) lo adornano, oscillando appese ad alcuni suoi cavi.
A quel punto però si erano fatte le 20:00 di sera, e per gli orari polacchi c’era il rischio di non trovare più posti liberi per cenare.
Anche se eravamo ancora pieni del cibo spazzatura trangugiato solo poche ore prima, la nostra voglia di assaggiare la cucina locale non era stata scalfita!
Ci aveva ispirato, a guardare anche dalle foto, il Pierogarnia, ristorante famoso per i pierogi, i tipici ravioli della cucina polacca dai diversi ripieni.
In realtà questo ristorante è una piccola catena, con più locali anche a Cracovia.
Per non rischiare di arrivare e trovare tutto pieno (e anche perché stavano cercando un pretesto per usarli) Roberto e Davide si erano offerti di prendere due monopattini e fermare un tavolo, visto che a piedi avevo notato che ci voleva quasi mezz’ora per raggiungere il posto, comunque poi però non lontano dal nostro appartamento.
Dopo aver girato a Roberto la posizione esatta, loro due erano partiti, e intanto noi ci eravamo mossi a piedi verso il ristorante.
Dopo circa una decina di minuti avevano iniziato ad arrivarci foto dei nostri due uomini in missione già baldanzosi, dentro il locale, con le loro birre in mano.
Arrivati però al ristorante, ed entrati, non riuscivamo a vederli.
Avevo allora provato a chiamare Davide, e lui per tutta risposta mi confermava di essere dentro.
In quel momento, al telefono, io e lui avevamo realizzato cosa era successo:
Roberto, invece di controllare l’indirizzo che gli avevo dato, aveva semplicemente cercato su google maps il nome del ristorante… peccato che appunto ce ne erano 3 in città! Due dei quali in centro e ovviamente lui aveva selezionato quello sbagliato. Ed erano a circa un chilometro di distanza da dove, in quel momento, ci trovavamo noi che eravamo rimasti a piedi!
Dopo un paio di imprecazioni avevamo finalmente raggiunto i nostri due amici. Comunque, c’erano davvero tanti pierogi tra cui scegliere e le porzioni erano abbondanti e gustose. Ve lo consiglio assolutamente!
Rientrati in appartamento per farci una doccia sapevamo che non ci saremmo messi alla ricerca esagerata di locali per la serata, ma un filo di vita notturna volevamo assaporarla.
Fortunatamente, esattamente ai piedi del palazzo del nostro appartamento, era presente un piccolo club che già la sera prima non ci era parso niente male: il Club Jaszczury.
Birra non eccelsa ma locale accogliente, spesso utilizzato anche per musica dal vivo e concerti jazz; nel complesso carino per trascorrere il dopocena.
La domenica alle 10:00 iniziava il tour che avevamo prenotato alla Miniera di sale di Wieliczka (città dell’area metropolitana di Cracovia), famoso sito patrimonio dell’umanità che proprio grazie all’Unesco era stato salvato da una sicura decadenza.
La Miniera di Sale, infatti, era stata utilizzata dal XIII secolo al 1996; le sue dimensioni sono enormi ed è possibile visitare solo il 2% dei labirinti in salgemma. Raggiunge una profondità di 327 metri e presenta gallerie e cunicoli per un’estensione totale di 287 km. Nel tempo la miniera venne sistematicamente ingrandita: nuove grotte, sculture, laghetti, cappelle. Di queste cappelle la più spettacolare e, per me, inaspettatamente affascinante era sicuramente quella dedicata a Santa Kinga (Cunegonda) di Polonia, dove praticamente tutti gli elementi dell’arredo interno sono realizzati in sale.
Per secoli questa miniera costituiva la più grande impresa industriale della Polonia e a partire dal 1978 iniziò a far parte dei patrimoni Unesco, ricevendo nel 1994 anche l’onorificenza di Monumento Nazionale conferitole dal Presidente della Repubblica di Polonia.
Tutt’ora la Miniera viene sovente utilizzata ad esempio per eventi politici.
Effettivamente, non ci sono altri posti al mondo così!
I minatori avevano creato un vero e proprio mondo sotterraneo.
Purtroppo sapevamo di avere ancora poco tempo, e quindi eravamo riusciti solo simbolicamente a passare davanti alla storica fabbrica di Schindler per poi fare un ultimo giro in centro e vedere almeno l’interno del Mercato dei Tessuti e della Basilica di Santa Maria, anche se purtroppo era affollata per via della messa.
Dovevamo poi essere all’aeroporto verso le 17:00 e, a parte l’aver perso per un 20 minuti Davide, chiuso in uno stanzino con il tizio del noleggio auto, tempo nel quale pensavamo le cose più assurde mentre in realtà semplicemente non stava andando il pagamento con la sua carta, una volta seduti in un ristornate del terminal in attesa del nostro volo eravamo particolarmente sorridenti.
Eravamo felici. Perché, finalmente, avevamo ricominciato dopo più di un anno a viaggiare. Insieme.
Un mesetto dopo questo BerTour avevo ripreso l’aereo, questa volta insieme a Valeriya, per passare dal venerdì al lunedì alcuni giorni in Portogallo, per l’esattezza a Lisbona con un salto anche a Sintra e a Cabo da Roca, il punto più a ovest d’Europa.
Di tutto questo, compreso il momento in cui forse avevo valutato male alcune distanze e credevo che seriamente Valeriya mi avrebbe strozzato, ve ne parlerò tra due settimane.
A presto!