Dove eravamo rimasti con il racconto della prima parte di viaggio nelle Highlands scozzesi?
Ah sì, vero.
Inzuppati dalla pioggia ma appagati dalla nostra giornata tra storici castelli e valli che sembravano uscite da libri fantasy eravamo rientrati, con il nostro sobrio bolide, a Inverness; giusto giusto per mettere qualcosa sotto i denti, vedere finalmente il cielo schiarirsi e farci ricordare che, in fondo, anche lì era estate!
Sapevamo esattamente dove saremmo andati a cenare, perché già la sera precedente avevamo deciso di azzardare una cosa che sembra da tipici italiani all’estero, ma della quale avevamo il sentore che ne saremmo usciti piacevolmente soddisfatti.
E non ci eravamo sbagliati.
Vado nel dettaglio.
Quando, la sera del venerdì 22 luglio, dopo il lungo viaggio con imprevisti che vi ho raccontato nella scorsa puntata, eravamo arrivati a Inverness e ci eravamo catapultati nel primo pub che ci sembrava di nostro gradimento, placando la nostra fame e la nostra sete. Dopo aver cenato avevamo fatto un giro di perlustrazione della città e adocchiato alcuni posti dei quali avevamo cercato recensioni, per vedere se potevano entrare nel novero dei papabili per le tre sere successive.
Selezionati un paio di pub che avremmo sicuramente visitato per sorseggiare gustose birre, ci eravamo focalizzati sui piatti per le cene. Per l’ultima sera avevamo deciso di prenotare in anticipo, visto che era sempre pieno, l’Hootananny Inverness, dove era mia intenzione magiare solo piatti tipici. Un su tutti: l’haggis.
Ma su questo ci torneremo dopo.
Invece, continuando a cercare, avevamo notato che uno dei più rinomati era una pizzeria italiana, la Cheese&Tomatin.
Incuriositi eravamo andati a vedere e avevamo trovato un piccolo locale, con alcuni tavoli all’esterno e altri in una sala accanto all’ingresso principale dove c’era il forno a legna a vista.
Eravamo quindi entrati a chiedere se per la sera successiva avevano un tavolo disponibile per due, anche perché oggettivamente lì almeno era possibile mangiare anche leggermente più tardi rispetto ad altri locali della città, dove dopo le 7 e 30 di sera iniziavano in alcuni posti a storcere il naso. Parlavo in inglese ma, quando alla fine mi era stato chiesto a che nome riservare la prenotazione e avevo detto “Francesco”, sia la cassiera che i due pizzaioli mi avevano guardato in faccia e il più giovane dei due, con un gran sorriso, aveva esclamato un “eh, ma allora potevi dirlo prima dai!” che faceva assolutamente intendere il sincero piacere nel sapere che avrebbero avuto due italiani la sera dopo a cena.
Perciò, senza ulteriori giri di parole:
La pizza era davvero, davvero eccellente. E con dei prezzi assolutamente onesti per essere in Scozia, soprattutto per la qualità e le materie prime utilizzate (il grosso delle quale ci era stato infatti poi detto che se le facevano inviare direttamente dall’Italia). Erano così buone che alla fine ce ne eravamo mangiati una e mezza a testa!
Eravamo rimasti a chiacchierare un po’ con loro, che ci avevano raccontato di come erano arrivati lì e avevano aperto da alcuni anni questa pizzeria a gestione famigliare.
Calcolando che i ristoranti in queste zone è comunque più che altro cucinano piatti esteri ed etnici perché, onestamente, la cucina locale non offre poi molto, sinceramente un passaggio qua lo consiglio!
Pienissimi eravamo comunque passati ad assaggiare un’ottima Ale al Black Isle Bar, pub dalla location molto curata e accogliente con moltissime spillatrici che invitano proprio a degustare le sue birre. Ma per quella sera ci eravamo limitati. Tanto sapevamo che lì ci saremmo tornati.
Dopo una passeggiata utile a smaltire il tutto lungo la riva del fiume Ness, con il cielo finalmente totalmente sereno, ci eravamo meritati una buona dormita.
La domenica mattina non pioveva, ma avevamo già intuto dalle nuvole che quella condizione sarebbe durata poco. Ora davvero ho capito perché la Gran Bretagna è così verde!
Infatti pochi minuti dopo essere saliti in auto aveva iniziato a piovere, e non pareva per nulla un acquazzone passeggero.
Quel giorno puntavamo ancora più ad ovest rispetto al giorno precedente, verso la Valle di Glencoe, con l’obiettivo però di vedere anche un’architettura in particolare, ogni giorno visitata da un folto numero di fan di Harry Potter e non solo:
Il Viadotto di Glenfinnan, che molti di voi ricorderanno per il fatto di essere apparso più volte nella saga cinematografica del maghetto più famoso dei libri e del cinema, in quanto lì sopra, proprio nella versione cinematografica, passava il treno per Hogwarts.
Anche se sarebbe stato sicuramente più piacevole ammirarlo senza enormi gocce che cadevano sulle nostre teste, quel giorno eravamo stati comunque molto fortunati, per un motivo in particolare:
Premetto che, solitamente, quando visito un luogo specifico cerco tutte le informazioni necessarie per godere appieno dell’esperienza ma in questo caso però mi ero palesemente dimenticato di controllare in quale orario passasse il treno con le fattezze di quello cinematografico, sul quale tra l’altro è anche possibile salire per poter viaggiare sul viadotto.
Stefano aveva scoperto, ormai in prossimità dell’arrivo, che il treno passava solo tre volte al giorno, e sinceramente non pensavamo che avremmo fatto in tempo a vedere il secondo giro, che avveniva verso le 10:50 della mattina.
Ma la fortuna aveva deciso di essere nostra amica.
Eravamo infatti arrivati quando il parcheggio era ormai quasi pieno, e avevamo potuto occupare uno dei pochissimi posti ancora liberi, pagato il parcheggio un addetto ci aveva poi avvisato di muoverci rapidamente verso il viadotto, perché il treno era in ritardo di una dozzina di minuti… e quindi avremmo fatto in tempo a vederlo passare!
Pura fortuna.
Come se non bastasse, a rendere tutto ancora più magico a lato del percorso correva un piccolo fiume dove tre enormi e magnifici cervi si stavano in quel momento abbeverando e cercando ristoro, a pochissimi metri da noi.
Era stata già quella un’immagine emozionante, che diventò proprio una entusiasmante sorpresa quando il treno passò sopra le nostre teste, creando davvero l’illusione che stesse portando i suoi passeggeri verso la nota scuola di magia.
Ripresa la macchina però l’effetto magico che non ci aveva fatto praticamente notare la pioggia di colpo era svanito… e ci eravamo resi conto, totalmente inzuppati, che palesemente le possibilità che da lì a poco smetteste di piovere erano davvero vane.
Quindi, superata la cittadina di Fort William e scorto solo per poco tra le nuvole il Ben Nevis (la montagna più alta delle isole britanniche), Stefano aveva deciso che almeno avremmo soddisfatto i nostri stomaci.
Si era messo quindi con il cellulare a cercare più informazioni possibili su qualche ristorante che meritasse la nostra famelica presenza e dopo una ricerca degna di un monaco certosino aveva individuato il Loch Leven Seafood Cafè, tra i più rinomati della zona per molluschi, crostacei e altri prodotti ittici freschi direttamente di quelle zone.
Per arrivarci però avevamo dovuto raggiungere la costa opposta rispetto a quella su cui ci trovavamo sul Loch Leven e, nel farlo, proprio mentre parlavamo di quanto erano tortuose le curve che stavamo affrontando di colpo ci eravamo imbattuti, a bordo della strada, in un’auto completamente ribaltata con le 4 frecce inserite.
Immediatamente ci eravamo fermati, e come noi i conducenti di un paio di auto alle nostre spalle.
Ma, pur provando a guardare con attenzione non avevamo trovato nessuno, fortunatamente, dentro l’auto. Anche cercando sul lato della strada che dava sull’acqua non c’erano persone o altri veicoli… quello è rimasto un mistero irrisolto del nostro viaggio.
Dopo questa strana situazione avevamo raggiunto il ristorante e, un po’ per la fame che di default io e Stefano abbiamo sempre, un po’ per i piatti invitanti che ci passavano intorno avevamo decisamente abbondato.
Io avevo ordinato un chilo di cozze cotte nel sidro con pane all’aglio ad accompagnare il tutto e Stefano aveva optato per un granchio enorme che era arrivato ancora da rompere con delle simil-tenaglie adatte per il suo guscio! Subito dopo i primi assaggi dei nostri piatti avevamo capito perché il ristorante era così ben recensito!
Anche se la pioggia era diventata meno intensa avevamo deciso di lasciar stare l’andare in giro per Glencoe a inzupparci ulteriormente e invece, tornado verso Lochness, avevamo fatto una tranquilla passeggiata all’interno del fitto e silenzioso bosco di Allt Na Criche vicino alle coste del lago, non lontano da Inverness.
Ritornati in città, dopo aver lasciato la macchina all’aeroporto e in taxi raggiunto il centro, avevamo trovato tra i pochi posti liberi che ancora ci avrebbero servito la cena, un ristorante giamaicano, il Kool Runnings, che era andato anche sopra le nostre aspettative soprattutto per la qualità della carne!
Ma il vento e la pioggia stavamo tornando… e noi avevamo un buon 45 minuti di strada a piedi da percorrere per tornare a casa e non avevamo più l’auto.
Ovviamente, a neanche metà del tragitto, eravamo stati colpiti dal peggiore acquazzone di quei quatto giorni in Scozia.
Non esagero! Sui social metterò il video! Arrivati a casa, e tentato di asciugare i vestiti e noi stessi, avevamo capito che era meglio andare a dormire!
L’ultimo giorno scozzese avevamo deciso di prendercelo con calma per visitare in lungo e in largo Inverness. Aperti gli occhi e guardato fuori dalla finestra avevamo notato, ma non ne eravamo sopresi, che la pioggia non aveva ancora smesso di scendere. Per evitare di conciarci come la sera precedente e restare fradici in giro avevamo indugiato un attimo, e per fortuna il cielo poi aveva deciso di aprirsi e darci la possibilità di goderci pienamente dell’ultima nostra giornata.
Con i dovuti paragoni, Inverness mi ricordava molto le mie amate Pisa e Firenze per il fatto che anche qua un fiume attraversa la città, diventandone quasi il fulcro principale su cui muoversi e orientarsi per vedere ciò che maggiormente c’è di interessante.
Prima di tutto avevamo raggiunto la Cattedrale di Sant Andrews, edificata poco dopo la metà del 1800, decisamente accogliente anche se, a parte per i dettagli di alcune sue vetrate, non posso dire che mi aveva estremamente entusiasmato! Sicuramente dall’esterno regala un maggior senso di solennità, con la sua facciata incorniciata da due imponenti torri.
Avevamo poi attraversato il fiume Ness per raggiungere probabilmente il negozio più caratteristico della città: la libreria “Leakey’s”.
Questo negozio, letteralmente sommerso dai libri, ne contiene più di 100.000 di seconda mano e ha la particolarità di trovarsi all’interno di un’ex chiesa! C’era davvero di tutto e mi ero perso a curiosare dentro ogni scaffale per vedere cosa potevo trovare in questa originale libreria, che è diventata una delle principali attrazioni della città!
Usciti eravamo saliti in direzione del Castello di Inverness, ma che purtroppo sapevamo della sua momentanea chiusura per lavori di ristrutturazione.
Dopo una pausa per mettere qualcosa sotto i denti e sorseggiare una buona Ale eravamo tornati verso il fiume a visitare il suggestivo cimitero posto nel giardino della chiesa di
Old High St. Stephen’s Church, che si trova sulla riva orientale del fiume.
L’attuale chiesa fu edificata nel 1770 però leggenda vuole che San Columba predicò dalla collinetta dove si trova la struttura già nel 565 d.C.
Per chi non lo sapesse, come non lo sapevo io, San Columba è colui che convertì al cristianesimo il re dei Pitti Brude.
Non era possibile vedere l’interno della chiesa purtroppo perché da alcuni anni è diventata di proprietà privata. Il suo cimitero però è ancora pubblico e cattura l’attenzione e l’immaginazione di chi lo visita.
Infine avevamo deciso di percorrere in lungo le rive del Ness, raggiungendo anche i piccoli isolotti che si trovano leggermente fuori dal centro in direzione di Loch Ness, collegati tra le sponde del fiume grazie a ponti in stile vittoriano. Il parco che si snoda tra le due rive in questa zona del fiume fa crede di essere molto più lontani dal centro città, tanto ci si immerge in alti alberi verdi, così fitti da nascondere in molti punti anche i raggi del sole.
Ma a furia di macinare chilometri si era fatta l’ora per un primo pit stop ancora al Black Isle Bar, che alla fine di quei giorni avevamo eletto il miglior pub della città.
Dopo questa pausa refrigerante però anche la fame era sopraggiunta. Quindi ci eravamo spostati poco più avanti dove, come vi avevo detto prima, avevamo prenotato al noto Hootananny per poter assaggiare alcuni dei più noti piatti tipici della cucina scozzese.
Ed era arrivato il momento per me di provare l’haggis!
Sarà stato che avevo molta fame, sarà stato che sicuramente a renderne meno aggressivo il gusto c’era anche un sughetto delizioso e una specie di purè e sarà stato che poi, in fondo, uno che ama trippa e lampredotto non so bene come poteva essere titubante all’idea di assaggiare interiori di pecora bollite e cotte nello stomaco stesso dell’animale con verdure e spezie varie… ma a me, e anche a Stefano che lo aveva assaggiato, non era dispiaciuto proprio per niente!
Dopo un ultimo giro sulle rive del Ness eravamo pronti a tornare in appartamento, riordinare le nostre valige e dormire giusto qualche ora, perché alle 4 del mattino un taxi ci sarebbe venuto a prendere per portarci all’aeroporto, per giungere in aereo a Bristol e da lì poi in treno rapidamente e comodamente a Bath… Ah no, questo era il nostro piano originale di aprile! In realtà il volo era già stato cancellato un mese prima della nostra partenza… quindi l’aereo ci avrebbe portato di nuovo a Gatwick per poi raggiungere lentamente e scomodamente Bath.
Ma di questo, e molto altro, ve ne parlerò nella prossima puntata di Taste of Art!
Sì, Bath non era stata facile da raggiungere come avevamo ipotizzato i mesi prima del nostro viaggio. Ma aveva meritato a prescindere da fatica e scomodi spostamenti … così come era valsa la pena rischiare di restare letteralmente a piedi, per tornare poi in città, da Stonehenge.
Non vedo l’ora di raccontarvi tutto, tra tre settimane, nella prossima puntata!
A presto e grazie dell’ascolto!