Bentornati, cari amici di Taste of Art.
Passate bene le vostre vacanze?
Io non mi posso proprio lamentare; qualche giretto, un po’ di mare ma, soprattutto, un viaggio tra alcuni dei più importanti luoghi della Scozia e dell’Inghilterra; Un viaggio così soddisfacente che per raccontarvelo ho deciso di dedicargli le prime, nuove, puntate dopo la pausa estiva.
Infatti in questa e nella prossima vi parlerò delle Highlands scozzesi, poi della mia visita a Bath e alla leggendaria Stonehenge e infine chiuderò con una toccata e fuga a Londra.
Non ero da solo nel mio peregrinare per la Gran Bretagna: compagno in questo viaggio dove gli imprevisti non sono proprio mancati è stato Stefano, che vi avevo presentato nella primissima Puntata di Taste of Art, dedicata a Berlino.
Insieme a lui, tra macchine alla Fast and Furious, voli cancellati, scioperi dei treni, ostelli improponibili, pecore, mucche, cervi, vestiti inzuppati da diluvi ma soprattutto tra luoghi memorabili e indimenticabili, ho avuto modo di appagare appieno la mia curiosità, e vedere con i miei occhi alcune mete che desideravo scoprire da tantissimo tempo.
Non riesco ad attendere oltre; partiamo quindi con i primi giorni di viaggio, nelle Highlands della verdissima Scozia.
Quando, lo scorso marzo, Stefano ed io avevamo parlato dell’idea di farci qualche giorno in viaggio tra luoghi non ancora visitati, subito avevamo pensato di unire due nostri vecchi “pallini”: lui voleva da anni vedere Stonehenge e io fin da piccolo ero rimasto affascinato dalle Highlands scozzesi a causa, come per Petra in Giordania, di alcuni film: in questo caso galeotti erano stati Highlander e Braveheart. Desideravo ammirare quei panorami che già sul grande schermo mi avevano lasciato senza fiato.
Quindi avevamo unito i nostri interessi, impostato un itinerario che comprendesse anche almeno un altro paio di città con interessanti mete, per l’esattezza Bath e Londra, e nel mese successivo avevamo prenotato i voli e preso gli alloggi.
Per il resto avremmo organizzato gli ultimi spostamenti, con auto a noleggio e treno, poco prima della partenza, prevista per il 22 luglio.
Tanto nel Regno Unito ci si muove con facilità con i mezzi.
Peccato che ci eravamo beccati l’estate nella quale, come ben sapete, molte compagnie aeree avevano vissuto estremi problemi con i propri voli e, per non farci mancare nulla, proprio nei giorni in cui eravamo lì c’era stato uno dei più grandi scioperi dei mezzi pubblici inglesi degli ultimi anni.
Ah, senza dimenticare l’aumento dei costi della benzina e delle materie prime industriali, che andava a influire anche sul noleggio di auto.
Vado con ordine, però:
Arrivato il giorno della partenza, erano poco dopo le 4 di mattina mentre mi trovavo in macchina con mio padre che, fresco come un fiorellino, gentilmente si era offerto, non proprio di sua spontanea volontà (giustamente vista l’ora), di accompagnarci a Malpensa per prendere il primo dei due aerei che ci avrebbero condotto in Scozia. Saremmo arrivati all’aeroporto londinese di Gatwick e da lì poi avremmo preso un secondo aereo per Inverness, la città generalmente conosciuta come la “capitale delle Highlands”.
Ma, ancor prima di recuperare Stefano lungo il tragitto mi era arrivata la mail dalla compagnia aerea che mi informava che il volo era stato cancellato e, provando a cercare un volo sostitutivo con la stessa compagna per riuscire in pochi minuti a risolvere quella situazione, l’unico volo che potevamo prendere in tempo per non perdere la coincidenza con Londra era alle 10… ma da Orio al Serio, vicino a Bergamo.
Quindi con estrema felicità, recuperato Stefano, mio padre aveva dovuto allungare decisamente la strada per portarci a destinazione.
Il terrore che anche il secondo volo subisse una cancellazione a quel punto serpeggiava ma, fortunatamente, alla fine eravamo arrivati senza ulteriori problemi a Inverness.
Per i primi due giorni e mezzo dei 4 in Scozia avevamo deciso di noleggiare un’auto. Gli economicissimi prezzi di noleggio ci avevano fatto optare per la macchina più piccola possibile, con cambio manuale. Non il massimo della comodità calcolando che Stefano è alto circa un metro e 90 e dover cambiare le marcie con la guida a destra non era estremamente allettante per lui, che sarebbe stato il guidatore.
Arrivati però al banco noleggio, il tizio ci aveva detto che se la domenica verso sera riportavamo circa due ore prima del previsto l’auto, il noleggio sarebbe stato calcolato solo per 48 ore esatte, e per la cifra già pagata potevamo avere un’auto automatica anche più grande.
Perfetto!
Senza pensarci due volte avevamo accettato, però quello che era stato omesso era che ci avrebbe dato un’auto degna di Dominic Toretto, un’Audi A5 blu metallizzato con i vetri posteriori oscurati. Un mezzo che dava non poco nell’occhio e che pareva pronto per una corsa illegale di auto, insomma.
Che poi, con l’ansia che avevamo di imboccare al contrario una rotonda, guidando inoltre per strade spesso strette e a volte non asfaltate immerse nelle Highlands, comunque andavamo pianissimo.
Con il nostro potente bolide avevamo raggiunto l’appartamento, in una zona leggermente fuori dal centro ma con una splendida vista sulla città, e avevamo fatto un primo rapido giro serale di Inverness, inaugurato l’inizio della nostra vacanza al Phoenix Ale House, tipico pub scozzese, con una buona Ale, fish and chips e altri piatti locali per poi crollare nel letto dopo l’infinita giornata!
Avevamo deciso, per il primo giorno, di visitare due tra i castelli più famosi delle Highlands e successivamente raggiungere l’Isola di Skye.
A poca distanza da Inverness, posto proprio a ridosso del famoso lago di Lochness sorge infatti il Castello di Urquhart. E da lì era partita ufficialmente la nostra esplorazione.
La mattina era iniziata con un pallido sole, incorniciato da alcune nuvole che, riflesse nelle acque del lago spesso increspato da onde provocate dal vento o da barche di passaggio, mi avevano fatto intuire il perché spesso, ancora oggi, si crede di scorgere dentro al lago il famoso mostro, chiamato Nessie, che da decenni riempie le leggende della zona.
Anche se in realtà l’immagine del mostro a fini turistici sembra aver lasciato spazio a una maggiore consapevolezza della ricchezza dei luoghi e della storia legati al lago e alle sue terre.
Il Castello di Urquhart, infatti, a prima vista appare decisamente in rovina, ma ciò che rimane è conservato con estrema attenzione e camminare per i suoi resti, dopo aver visitato prima il piccolo ma ben organizzato museo, ricco di dettagli e informazioni sulla struttura, permette di comprendere pienamente ciò che è ancora visibile. Inoltre il panorama che si può ammirare dalle sue mura possiede davvero qualcosa di fiabesco.
Un po’ speravo di scorgere, ad un tratto la testona, di Nessie sbucare dalle acque.
Pur non avendo certezza sulla sua data di edificazione, alcuni documenti storici provano che il castello doveva esistere già prima del XIII secolo. E la sua storia era stata caratterizzata da lotte di potere tra scozzesi e inglesi, rinomati per volersi proprio un bene fraterno da sempre. Il motivo per cui risulta così in rovina è dovuto principalmente al fatto che, per evitare che la costruzione entrasse nelle mani dei giacobiti, fu fatta esplodere nel 1692. Oggi è di proprietà dell’Historic Scotland che gestisce con cura e attenzione questo e tantissimi altri siti storici della Scozia. Se si inizia da Inverness, lo reputo la prima tappa fondamentale in questa inimitabile regione montuosa.
Sfortunatamente senza trovare Nessie ci eravamo rimessi in viaggio in direzione del castello che bramavo vedere da anni, legato a un film che aveva influenzato la mia infanzia: Highlander – l’ultimo immortale.
Il castello in questione era quello di Eilean Donan, e per raggiungerlo ci eravamo dovuti avventurare sempre più all’interno delle Highlands, muovendoci verso Ovest rispetto a Inverness.
Io e Stefano, durante il tragitto, restavamo così affascinati da quei paesaggi verdi e immersi nella pace e nella natura che più volte ci fermavamo a scattare una foto, o anche solo ad ammirare pecore libere di pascolare, così come le simpatiche e tipiche mucche scozzesi dal famoso ciuffo, o cervi che in lontananza correvano per le colline e le valli che si aprivano ai lati della strada.
Iniziavamo però a fare i conti con il clima della zona: infatti il sole mattutino stava lasciando sempre più spazio a grosse, grigie e minacciose nuvole portate dal vento.
Per fortuna avevamo raggiunto il castello senza le abbondanti piogge che il cielo stava per portare in dote alla nostra esplorazione, permettendoci così di osservare il suo profilo in tutta la sua magnificenza.
Posto a ridosso dell’acqua, il Castello di Eilean Donan possiede un aspetto regale e al contempo minaccioso. Conserva ancora tutta la sua nobile imponenza, e probabilmente proprio per questo fu scelto come location per rappresentare la dimora della casata dei MacLeod nel film cult che vi ho citato.
In realtà è apparso anche in altri film, come ad esempio 007 il mondo non basta e Elizabeth – the golden age.
Questa affascinante fortezza sorge sopra una piccola isola situata alla confluenza di 3 grandi fiordi: il Loch Alsh, il Loch Long e il Loch Duich. Il nucleo originale risale al XIII secolo, ma da allora è stato distrutto e ricostruito diverse volte. Lasciato dal Settecento per quasi due secoli in rovina fu poi restaurato tra il 1912 e il 1932 dal tenente colonnello John MacRae-Gilstrap che lo aveva ereditato in quanto discendente del clan MacRae, un tempo proprietario del castello.
Il suo fascino risiede di più nella sua struttura esterna, perché gli interni, anche se ben conservati, sanno troppo di finto e ricostruito, con alcuni allestimenti delle sale a mio avviso forzatamente didattiche e descrittive della vita al suo interno. E alcune sezioni, con anche foto personali di inizio 900 di persone della famiglia MacRae danno quasi l’impressione di essere in una casa di vecchi zii che praticamente non conosci e nella quale ti trovi a vagare con un po’ di inquietudine.
Resta però assolutamente una tappa imprescindibile delle Highlands!
Posso assicurare che mentre percorrevo il ponte che portava al cospetto della struttura mi pareva di essere tornato indietro nel tempo di diversi secoli.
Magnifico!
Ultima meta era la vicina isola di Skye, collegata tramite ponti al resto della Scozia. Anche se, ripreso il nostro percorso, la pioggia aveva iniziato a scendere molto forte.
Eravamo convinti che, così come in poco tempo era arrivata, in altrettanto poco tempo sarebbe passata. Soprattutto lo sperava Stefano, che a differenza mia che mi ero portato anche una leggera giacca impermeabile (essendo freddoloso e odiando la pioggia e il vento), lui indossava solo una felpa sopra alla maglietta.
La pioggia però non diminuiva anzi, quasi a dirci di non riporre vane speranze, aumentava sempre più. Non era però nostra intenzione demordere quindi, dopo aver superato la piccola città di Portree, che dicono essere molto carina (sicuramente se il sole ci avesse permesso di vederla avremmo potuto valutare tale nomea) avevamo puntato direttamente un luogo ritenuto estremamente emozionante nel nord dell’isola: Fairy Glen.
Avevamo capito di essere arrivati alla meta per la presenza di un unico angusto parcheggio nel nulla tra le colline, pieno però di auto.
Dopo aver seguito per pochi passi un sentiero avevamo raggiunto questa particolare vallata.
Giuro, non ricordo di aver mai visto così tanto verde in vita mia.
Fairy Glen, infatti è un incredibile paesaggio di valli verdi e montagne in miniatura. Non mi sarei stupito se fosse saltato fuori da dietro qualche roccia un Hobbit!
Era così affascinante che non facevo neanche più caso alle secchiate d’acqua che il gentile cielo scozzese continuava a lanciare sopra le nostre teste.
Fairy Glen significa valle delle fate e sembra proprio una versione in scala di un luogo uscito dai libri di Tolkien. Attenzione a una cosa, però: i piccoli massi posti in modo da creare spirali sul terreno, che spesso si vedono nelle foto sui social, sono in realtà frutto dell’iniziativa dei visitatori. Nulla di magico, o naturale, in questo caso!
Fradici ma soddisfatti avevamo ripreso l’auto per tornare fino a Inverness; un buon 3 ore di strada.
Non essendo dei cultori di whisky avevamo lasciato stare l’idea di fermarci sull’isola, nota per la sua produzione, a sorseggiarlo. In compenso, dopo quasi due ore di strada spesso nel nulla totale, avevamo trovato un caratteristico, sperduto, pub. Erano le 17 circa, e ci sembrava un’ottima idea fare una pausa.
Entrati nel locale, con solo una coppia, probabilmente marito e moglie, già decisamente carburata, avevamo chiesto al giovane barista se potevamo sederci a bere qualcosa al bancone.
Giuro, ci osservava come fossimo due alieni. Con estrema diffidenza e uno sguardo poco amichevole. Credo che dentro a quel pub non passassero stranieri da prima della sua nascita.
Per fortuna la sua collega era meno inquietata dalla nostra presenza e, dopo averci chiesto da dove venivamo, come a confermare la stranezza della nostra presenza lì, ci aveva servito la loro birra della casa, di nostro totale gradimento. Perché, per chi ama la birra, il bello di queste zone è che praticamente ogni pub produce anche la sua personale. E quindi è possibile gustarne infinte qualità.
Senza ulteriori soste eravamo poi arrivati a Inverness, dove non sapevamo ancora che avremmo mangiato una pizza (sì sì, avete capito bene), assolutamente tra le più buone mai assaggiate in vita mia.
Ma direi che di questo, e dei due restanti giorni nelle Highlands, ve ne parlerò nella prossima puntata!
Ho preferito dividere in due parti e non correre nel racconto delle Highlands, che meritano di avere più spazio nelle descrizioni di questa mia vacanza ricca di spostamenti e tappe.
Vi aspetto quindi tra due settimane, per parlarvi, oltre che della non locale pizza, di piatti assolutamente squisiti della tradizione scozzese, di location davvero magiche legate a Harry Potter e per descrivervi anche, nel dettaglio, l’accogliente Inverness.
A presto!