Puntata 3 – Petra e la Giordania

Avevo circa sei anni quando, per la prima volta, si fissò in maniera indelebile nei miei occhi l’immagine del Tesoro di Petra.

Conobbi quel monumento grazie a un film che moltissimi di voi conosceranno: Indiana Jones e l’ultima crociata.

Alla fine della visione feci due promesse a me stesso:

La prima, che avrei studiato archeologia; anche se a quel tempo non immaginavo che al posto di diventare un esploratore mi sarei ritrovato invece a tradurre Sant’Agostino dal greco all’italiano con l’ansia di non superare un esame.

La seconda, che un giorno avrei visto dal vivo quel luogo pieno di fascino e mistero.

Ho avuto la fortuna di realizzare entrambi gli obiettivi.

Sui miei percorsi universitari, direi che non è questa la sede per parlarne.

Invece, per quanto riguarda Petra e la Giordania, se volete regalatemi qualche minuto del vostro tempo.

 

Puntata 3_Petra_Copertina Articolo

Sono passati pochi anni da quando, insieme al mio amico Alessio (compagno di molti tra i viaggi più avventurosi e ricchi di aneddoti da me vissuti) abbiamo trascorso sei giorni in Giordania, che sembra un’isola tranquilla in mezzo a tante realtà purtroppo turbolente e in guerra del Medio Oriente.

Ecco, una precisazione è obbligatoria: per chi soffre il caldo il periodo da noi scelto, agosto, non è sicuramente consigliabile e nel caso voleste ripercorrere il nostro itinerario magari 8/9 giorni sarebbero più consigliati, per chi vuole un po’ di relax.

Noi però, tranquilli e a riposo non ci sappiamo stare.

Quindi è stato perfetto così!

 

Atterrati in piena notte all’Aeroporto Regina Alia, distante circa 30 chilometri dal centro di Amman, ci serviva un passaggio per raggiungere il luogo dove, più o meno quattro ore dopo, sarebbe partito un pullman diretto a Petra.

I tassisti abusivi non mancavano ma, con il radar che ci contraddistingue in queste situazioni, ne avevamo trovato uno che sembrava parlare inglese però, una volta in macchina, ci rendemmo conto che non capiva un accidente.

Per spiegargli la nostra meta esatta, infatti, mi fece parlare al telefono con un suo amico, che qualche parola in più d’inglese la comprendeva.

Dopo alcuni giri a vuoto il tizio ci scaricò, con tutti i nostri bagagli, su una grande strada dove, effettivamente, c’era un’insegna e una serranda con il nome della compagnia di autobus per Petra… ma il luogo non era molto rassicurante.

Passavano pochissime persone, e verso le 5 un gruppo di uomini, che ci guardava con aria dubbiosa, si era messo ad allestire una bancarella per vendere spremute d’arancia.

In quel momento ho girato il primo di tre video – testamenti, nel dubbio di non fare ritorno in Italia, che nei prossimi giorni pubblicherò sulle pagine Social di Taste of Art.

Invece, come un’apparizione miracolosa, alle 6 del mattino circa un omino si presentò davanti alla serranda dell’agenzia dove fare il biglietto, con disinvoltura la tirò su e dopo poco arrivò anche il pullman.

Eravamo finalmente diretti verso la famosa città Patrimonio Unesco dal 1985.

Non conservo grandi ricordi del tragitto, sia io che Alessio eravamo collassati per tutto il tempo del viaggio, della durata di circa cinque ore.

Riaperti gli occhi e scesi senza troppi convenevoli dal pullman, dopo aver posato i bagagli nella stanza del nostro hotel a Wadi Musa, a poche decine di metri di distanza dall’ingresso all’antica città del regno nabateo, decidemmo di fare subito un primo giro di perlustrazione, per poi vederla completamente e con maggior freschezza l’intero giorno seguente.

Il cammino attraverso la notevole spaccatura del Siq, il canyon di ingresso principale a Petra, creava emozioni e una spasmodica attesa… ogni passo ci faceva sentire sempre più vicini al traguardo.

Il percorso sembrava stringersi sempre più e poi eccolo! Davanti a noi!

Di colpo, senza preavviso, tra le due pareti del Siq scorsi il più iconico monumento della città, quello che appunto anche il Professor Jones si trovò dinnanzi a sé durante la sua cinematografica ricerca del Santo Graal.

Stavo guardando, finalmente, il Tesoro di Petra.

Alta circa quaranta metri e scavata direttamente nella montagna di arenaria rossa, la sua facciata catturava totalmente l’attenzione. Così tanto da estraniarmi da tutto ciò che avevo intorno.

Erano scomparsi gli altri turisti, i venditori ambulanti, i cammelli, perfino il mio amico Alessio.

Vedevo solo il Tesoro e la sua facciata, commistione di diverse influenze culturali e artistiche, segno del passaggio di molti popoli nell’arco dei secoli.

Perché Petra, città originaria degli Edomiti, fu la capitale dei Nabatei, popolo di origine nomade che governò la città dal IV secolo a.C. fino alla sua annessione all’impero romano, sotto il regno di Traiano.

Con i secoli la sua importanza come fulcro dei commerci medio orientali diminuì sempre più, fino ad essere quasi dimenticata, ma mai del tutto abbandonata.

Fu l’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt a farla conoscere al mondo nel 1812.

I Nabatei ebbero anche contatti con la cultura ellenistica e proprio nella struttura esterna del Tesoro sono avvertibili queste ascendenze, più che nelle facciate delle altre tombe della città.

Perché questa era la tomba di un Re nabateo (anche se non è facile attribuirne con certezza il proprietario) e la sua bellezza risiede nell’esterno, perché l’interno è totalmente vuoto.

Il Tesoro, però, era solo l’inizio della città, perché poi maestose facciate di altre tombe reali, il teatro romano anch’esso scavato nella roccia, alte colonne che fiancheggiavano la strada che portava verso i resti della porta di Traiano ci hanno accompagnato verso l’impresa del giorno seguente: la salita al grande Monastero.

Infatti, passata la notte e recuperate le energie, pur soffermandoci nuovamente davanti al Tesoro, avevamo poi continuato il percorso, quasi non curanti dei 39 gradi e della praticamente totale mancanza di ombra.

Inoltre, quale momento migliore se non la tarda mattinata per iniziare una salita sotto il sole?

Il secondo video – testamento è stato girato in questo frangente.

Direi che è superfluo spiegare il perché.

Dopo un paio di apparizioni mistiche, litri e litri di sudore e i primi segni dell’abbronzatura da maglietta sulle braccia, in circa un’oretta eravamo giunti al Monastero.

Il monumento fu così ribattezzato in epoca cristiana e aveva una facciata ancora più grande rispetto al Tesoro, ma stilisticamente meno complessa.

Per essendo discretamente provati dal caldo e dal sole, nessuno dei due riusciva a lamentarsi: lo spettacolo valeva tutta la disidratazione.

La discesa fu poi decisamente più rapida, quella vista ci aveva ricaricato le energie!

Avevamo infine deciso di dare l’ultimo saluto alla città la sera, rientrando per una terza e ultima volta a vedere la facciata del Tesoro illuminata dalle candele e da alcuni giochi di luce, insieme alla presenza di uno spettacolo musicale.

Mi capitò anche una piacevolissima compagnia femminile: una dolcissima cagnolona randagia che si aggirava tra turisti intenti a ascoltare la melodia decise che io ero la persona designata per farle delle coccole mentre, insieme, sentivamo la musica.

Un extra molto piacevole, in quella che già di per sé era stata un’esperienza unica capace di trasportarmi per alcuni minuti in un mondo senza tempo.

Rientrato in albergo solo una cosa riuscivo a pensare: Petra è magica.

La giornata seguente sapevamo che sarebbe stata molto impegnativa, perché avevamo due mete in mente, non esattamente vicine tra loro: il Wadi Rum e Amman, dove avevamo prenotato una stanza in un hotel per le due notti successive.

Non è nostro stile organizzare le cose da casa, ci piace lasciarci ispirare dal momento e dalle persone incontrate.

Quindi, chiacchierando con il direttore dell’hotel, e avendo spiegato la nostra volontà di visitare il deserto prima di arrivare nella capitale, cercavamo un uomo fidato che ci portasse prima lì e poi si facesse in macchina le diverse ore necessarie per raggiungere Amman.

Detto, fatto!

Aveva l’uomo di fiducia per noi.

In poco più di un’ora e mezza eravamo arrivati in una delle stazioni di ingresso al deserto, dove il nostro autista, tenendo i nostri bagagli e assicurandoci che sarebbe rimasto lì ad aspettarci, ci presentò chi materialmente su una jeep ci avrebbe portato a fare un’escursione di tre ore nel Wadi Rum.

So che potrebbe suonarvi rischioso, ma fidatevi. È più normale di quel che sembra. Bisogna avere un po’ di fiducia nella gente del posto.

Durante la nostra escursione un momento di dubbio, però, l’abbiamo avuto anche noi. E qui infatti c’è stato il terzo e ultimo video – testamento del viaggio.

Il Wadi Rum era per noi una meta imprescindibile:

Set di numerosi film internazionali, il deserto detto anche “Valle della Luna” fu descritto da Lawrence d’Arabia come “vasto, echeggiante e simile a una divinità”.

Come si può non visitarlo?

Abitato ancora da numerose tribù beduine, il suo alternarsi di roccia arenaria e sabbia dal colore arancio acceso, incastonato nel cielo azzurro, era uno spettacolo davvero inimitabile.

Dopo aver bevuto un tè in una tenda con un beduino amico della nostra guida e aver visto nel Canyon anche delle iscrizioni rupestri ben conservate era il momento di ricongiungerci con la persona che ci avrebbe portato fino ad Amman.

Il nostro unico rammarico è stato non avere il tempo lungo il tragitto verso la capitale per fare un bagno nel mar Morto.

Bisognerà quindi tornare!

Avevamo raggiunto Amman nel tardo pomeriggio, concedendoci solo un rapido giro serale, ma la cosa che mi aveva maggiormente colpito in positivo era stata vedere, la sera, tantissimi gruppi di famiglie con i propri bambini ritrovarsi nella piazza antistante quel gioiello dell’architettura antica che è il Teatro romano della città, utilizzato ancora oggi per spettacoli ed eventi.

Al cospetto di quello che è il più grande teatro antico della Giordania si ritrovavano molte persone intente a parlare, scherzare, cantare. I bambini giocavano e ballavano.

E noi, guardandoci intorno, in quel momento eravamo tra i pochi stranieri che stavano osservando ammirati una cosa che per loro è assolutamente normale, e che forse oggi nella cultura occidentale a volte si è persa a discapito di una maggiore individualità e minor interesse nella socialità.

Il giorno seguente era totalmente dedicato a perderci per la caotica capitale, senza una reale meta tranne la mattina, perché volevamo vedere la Cittadella, sito archeologico davvero antico, dove sono ancora visibili i resti di architetture romane, bizantine e omayyadi.

Verso sera avevamo deciso che ci meritavamo un totale momento di relax al Copas Central, locale dallo stile molto occidentale allegro, insieme a Dan, mio amico e ex compagno di studi che stava seguendo uno scavo archeologico a circa un’ora da Amman.

Ma mancava ancora un sito archeologico alla nostra lista, tenuto come chicca finale per l’ultimo giorno:

Jerash, antica città che aveva raggiunto il suo massimo splendore in epoca romana.

E infatti, se andrete a vederla, vi sembrerà di tornare indietro a quel periodo storico.

Per me visitarla era un desiderio non minore a Petra, e Alessio era stato ben felice di seguirmi, perché anche sulla sua faccia si poteva leggere la sorpresa per quello che stavamo vedendo.

Accolti dall’Arco di Adriano, avevamo attraversato poi il foro ovale, forma non canonica per un foro tra l’altro, circondato da enormi colonne che proseguivano lungo il cardo massimo, la strada principale con ai suoi lati molti edifici di rappresentanza e non, ancora discretamente visibili.

Personalmente sono sempre stato affascinato dagli edifici per spettacolo, quindi i miei occhi si erano posati con maggior attenzione sul teatro meridionale, ancora in buono stato di conservazione.

Il giusto modo per terminare un viaggio indimenticabile.

Perché sì, eravamo purtroppo giunti alla fine del viaggio.

Tornati in stanza e recuperati i nostri bagagli, avevamo a malincuore preso un taxi e raggiunto l’aeroporto per tornare in Italia.

Seduto nella sala di attesa del gate, però, dentro di me avevo due certezze, un po’ come quando da bambino avevo visto Petra in un film:

La prima, di aver visitato luoghi unici, luoghi che chiunque dovrebbe osservare con i propri occhi, perché espandono il cuore, donando sensazioni positive.

La seconda, che proprio per quel che ho provato tornerò in Giordania, per vedere tutto ciò che mi manca e, sicuramente, per emozionarmi ancora, quando dall’ultima spaccatura del Siq apparirà davanti ai miei occhi il Tesoro di Petra.


Sui Social Network di Taste of Art troverete nei prossimi giorni diverso materiale, compresi i tre video-testamenti.

Ci sentiamo il 5 marzo, e vi porterò nel luogo che preferisco, nella città che preferisco: le Cappelle Medicee a Firenze.

A presto!

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