Puntata 39 – Vedi Napoli e poi… (Parte 1)

Maradona.

So che sembra banale dire questo nome per introdurre Napoli.

Ma la prima immagine che ricordo del mio arrivo nel capoluogo campano è quella di una rivisitazione abbastanza trash della Creazione di Adamo, capolavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina del Vaticano, dove al posto di Dio c’era il Pibe de Oro e al posto del primo uomo c’era Victor Osimhen, attuale attaccante della squadra di calcio della città, recente vincitrice dello scorso campionato.

Napoli è molto, moltissimo di più ovviamente. Ma è indubbio che la fede calcistica a Napoli è forte come quella per San Gennaro, e l’amore per la maglia della squadra è come quella per i prodotti alimentari che qui sono un’eccellenza mondiale e che si tramutano spesso nel piatto più famoso al mondo: la pizza.

Valeriya ed io nell’arco di quasi una settimana nel mese di agosto ce ne siamo resi conto. Girandola come nostra consuetudine a piedi in lungo e in largo; e anche qua, un po’ come per i nostri viaggi a Lisbona e Roma, eravamo arrivati al punto che le nostre gambe chiedevano pietà.

In particolare un giorno penso di aver portato allo stremo la pazienza della mia dolce metà. Però, sul finire del nostro viaggio, anche lei era riuscita ad attentare alla mia resistenza fisica, per la ricerca di una maglia… ovviamente di calcio, ovviamente del Napoli.

Perché, appunto, l’amore calcistico per la squadra partenopea è solo una delle tante cose magnifiche che si possono trovare a Napoli e nei suoi dintorni.

Ora inizio a dirvi quali solo le altre.

 

Eravamo arrivati perfetti per ora di pranzo e, una volta posati i nostri zaini nella nostra stanza degli appartamenti “Casa Annina”, in piazza Montesanto a poca distanza da via Toledo, una delle vie nevralgiche e più note della città, ci eravamo diretti alla ricerca della nostra prima pizza.

 

Nel cercarla ci eravamo mossi verso Piazza Plebiscito, perché volevamo prima di tutto andare a visitare Palazzo Reale e lì vicino avevamo trovato la “A ogge a 8”, piccola pizzeria dove forse ci eravamo fatti prendere un po’ la mano dalla nostra golosità perché avevamo anche ordinato una frittatina di pasta da dividere, oltre a gustose pizze con sopra patate arrosto (la mia aveva anche la salsiccia). Però erano le due abbondati di pomeriggio e faceva molto caldo… e forse avremmo dovuto optare per qualcosa di più leggero.

Invece, decisamente sazi, ci eravamo diretti verso Palazzo Reale, restando ammaliati dalla sua famosa scalinata una volta varcato l’ingresso del Palazzo.

Palazzo Reale di Napoli è stato residenza di diverse casate reali dal 1600 fino 1919 quando i Savoia, ultimi a possederlo dall’Unità d’Italia fino a quel momento, lo cedettero allo stato.

Iniziato su progetto di Domenico Fontana, cui però altri architetti hanno messo mano nei secoli successivi (infatti l’iconico scalone d’onore che lascia tutti a bocca aperta quando lo si percorre è opera di Francesco Antonio Picchiatti) ha nel suo pregevole ed elegante bilanciamento degli stili barocco e neoclassico la sua peculiarità.

Usciti dal palazzo e attraversata l’affollata Galleria Umberto I avevamo poi percorso tutta via Toledo e proseguito ancora più avanti per raggiungere il museo che non poteva non essere in cima alla mia personale lista: il MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Attenzione: stiamo parlando di uno dei più importanti musei al mondo nell’ambito dell’arte e dell’archeologia classica greco-romana!

Enorme, quasi dispersivo, ma non lo dico con un’accezione negativa, piuttosto è per enfatizzare la mole straordinaria delle sue collezioni, ricco di opere di valore inestimabile, mi aveva purtroppo però lasciato leggermente con l’amaro in bocca.

No, non fraintendete. Andate a visitarlo. Solo che l’opera che volevo ammirare più di tutte era in restauro e solo parzialmente visibile: parlo dell’enorme mosaico con rappresentata la Battaglia di Isso di Alessandro Magno, reperto ritrovato nella Domus del Fauno di Pompei e conservato nel museo.

Ciò che vedete a Pompei è una copia, mi raccomando non confondetevi!

Comunque mi ero potuto rifare gli occhi principalmente con le opere della Collezione Farnese come l’Atlante (che in realtà avevamo già visto esposto in una mostra temporanea a Roma nella Domus Aurea), il movimentato gruppo scultoreo del Supplizio di Dirce (meglio conosciuto come Toro Farnese, opera dalla complessità enorme, scolpita in un unico blocco di marmo), e anche, anzi soprattutto, l’imponente e potentissimo Ercole Farnese, copia del III secolo d.C. dell’originale opera bronzea di Lisippo, lo scultore prediletto di Alessandro Magno.

E queste sono solo alcune delle tante opere presenti nelle collezioni del museo.

Tornati indietro fino al lungomare, da cui potevamo ammirare il Vesuvio che si affacciava sul golfo di Napoli, immagine che con il tramonto sembrava quasi un dipinto, avevamo notato che già il primo giorno 30.000 passi li avevamo percorsi senza troppa difficoltà. Quindi tutto lasciava supporre che avremmo fatto molto di più nei giorni successivi.

Per questo, ancora pieni dal pranzo, avevamo optato per andare a riposare e ed essere freschi per il giorno seguente.

Giorno che si era aperto con la vista a una delle opere scultoree più eccezionali che mi sia mai capitato di contemplare: il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero, opera del 1753 dove sembra davvero che sopra al corpo scolpito del Cristo ci sia un reale velo a proteggerlo, tanto è stata eccezionale la maestria del suo scultore. Purtroppo non era possibile fare foto ma, sinceramente, nessuna immagine potrebbe eguagliarne la vista dal vivo.

Ancora affascinati da tanta bellezza avevamo raggiunto Via dei Tribunali, storica via del centro storico di Napoli, per oltrepassare l’ingresso del percorso della “Napoli Sotterranea” che partiva in questa zona e immergerci nella sua visita.

Ricordatevi di prenotare per tempo perché altrimenti la fila per entrare sarà interminabile, e non fare questo tour nel sottosuolo della città campana, dove per secoli, per motivi diversi, una parte della popolazione vi ha trovato rifugio, sarebbe davvero un peccato.

Se non siete amanti degli spazi ridotti in alcuni punti vi sarà chiesto se vorrete evitare di percorrerli (effettivamente alcuni passaggi sono strettini, ma è anche questo il bello della Napoli sotterranea). Valeriya ad esempio è un po’ claustrofobica ma alla fine si è avventurata in ogni passaggio; un tentativo provate a farlo.

Riemersi dalle profondità, dopo averci anche portato a vedere i resti ancora visibili del teatro romano, dove anche Nerone si era presumibilmente esibito, oggi inglobato in alcuni edifici, avevo assaggiato la mia prima pizza fritta (abbastanza deludente, ma per fortuna l’ultimo giorno ero riuscito a rifarmi) nella zona tra via dei Tribunali e via San Gregorio Armeno (famosissima per le statuine per i presepi con personaggi non solo religiosi ma anche della cultura pop italiana e straniera, oltre che locale), e da lì avevamo raggiunto, appena prima che chiudesse, il Monastero che prende il nome dallo stesso santo della famosa via, del quale non conoscevamo molto, ma che fino a quel momento era stato probabilmente, almeno per me, la più piacevole delle sorprese.

Secondo la leggenda questo complesso monastico fu fondato sopra le rovine del tempio di Cerere all’inizio del 900, più probabilmente però lì non c’era alcun tempio ma le monache basiliane che all’inizio del VIII secolo giunsero qua da Costantinopoli, portando con loro anche le reliquie di San Gregorio Armeno, scelsero semplicemente questa zona come area dove insediarsi.

Sta di fatto che nel Cinquecento il monastero fu rimaneggiato e ampliato e il suo chiostro monumentale divenne un luogo perfetto per la contemplazione e la preghiera. Silenzioso pur essendo in una delle aree più caotiche della città; ed effettivamente la pace e la tranquillità regnavano sovrane in quel luogo.

Non soddisfatto dalla mia pizza fritta avevo ingurgitato anche una pizza a portafoglio nel tragitto che ci aveva portato al Monastero di Santa Chiara con il famosissimo e super instagrammato chiostro maiolicato dedicato alla Santa.

Il chiostro è un’opera settecentesca di Domenico Antonio Vaccaro, e molti di loro lo conosceranno già, perché è uno dei luoghi più visitati della città. Infatti, a differenza di quello di San Gregorio Armeno regnava un po’ meno silenzio.

L’originalità delle maioliche che lo rivestono effettivamente spingono proprio il visitatore a scattare foto su foto, è raro trovare un chiostro di queste dimensioni così decorato.

Merita. Non lo nego… però i social hanno fatto la loro parte nel renderlo un posto anche più celebre del dovuto. A discapito magari di altre bellezze più nascoste sempre presenti nella stessa zona.

Era da poco passata l’ora di pranzo e, dopo aver raggiunto gli affollati Quartieri Spagnoli per recarci nella zona con il celebre murales di Maradona (che poi ovunque a Napoli spuntano murales dedicati al campione argentino), zona diventata un vero e proprio santuario dei tifosi del Napoli, non so sulla base di quali calcoli (totalmente errati) avevo deciso che raggiungere a piedi da lì la Certosa e il Museo di San Martino,  poi passare dal quartiere del Vomero e infine raggiungere il punto panoramico più noto di Napoli, Posillipo, sarebbe stata una lunga, ma piacevole passeggiata.

Credo che Valeriya non si fiderà mai più dei miei itinerari, calcolando quello che già avevo fatto a Sintra (chi ha ascoltato la puntata su Lisbona sa di cosa parlo).

Però direi di fare una pausa.

E di continuare nella prossima puntata!


Sì, inizialmente pensavo di raccontarvi Napoli tutto in un fiato… ma mi sono reso conto che tanto vi ho già detto, e tanto c’è ancora da dirvi!

Quindi direi che dividere in due questo racconto di viaggio è il modo migliore per non togliere nulla.

Perciò vi aspetto il 24 novembre, con la seconda parte dedicata a Napoli!

A presto!

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