È arrivato il momento di chiudere un cerchio che avevo aperto nella seconda puntata di Taste of Art, lasciato lì, in attesa di conclusione per circa due anni.
In quella puntata vi avevo parlato dei templi di Paestum e, successivamente, in altre due puntate anche di Villa Adriana a Tivoli e di Ostia Antica.
Come molti di voi si ricorderanno quelle erano state tutte mete minori, se così si possono definire, di una principale; il cardine sul quale avevo costruito un itinerario di quattro giorni per visitare alcuni siti archeologici del Centro/Sud Italia.
La meta fondamentale era, infatti, il Parco Archeologico di Pompei.
Sono passati quasi sette anni da quando avevo varcato con vibrante emozione per la prima volta la soglia di questo sito dell’antichità di cui si è studiato e detto molto, ma che ha ancora tantissimo da raccontare; ed è stato bello notare negli anni seguenti, leggendo e studiando a riguardo, che nuove e importanti campagne di scavo e ricerche hanno portato (e continuano a portare) alla luce ulteriori, straordinari, reperti… stimolando la mia voglia di tornare prossimamente a rivederlo.
Adesso, però, faccio un salto indietro di qualche anno con i miei pensieri, riportando la mia mente a una calda estate d’agosto, tra le vie dell’antica Pompei.
C’era una cosa che, più di qualsiasi altra, volevo fare quando la mattina della mia visita al Parco Archeologico di Pompei mi ero svegliato nel letto della mia stanza di un B&B non lontano dal suo ingresso: riuscire a camminare almeno per pochi minuti all’interno di esso senza la gran massa di turisti che in breve tempo avrebbe invaso ogni angolo possibile di quella antica città che ancora si erge vicino a ciò che l’aveva distrutta nel 79 d.C.
Vicino al Vesuvio.
Volevo percepire Pompei. Sfiorare le sue mura, passeggiare per le sue strade cercando di immaginare come doveva apparire all’apice del suo splendore.
E per farlo dovevo essere veloce.
Così, all’apertura mattutina dei cancelli mi ero fatto trovare in prima fila, davanti alla già abbondante coda presente, e avevo mostrato il mio biglietto acquistato online a tempo debito. Accelerato infine il passo, accennando quasi una blanda corsa, mi ero addentrato, finalmente, tra le strade di Pompei.
Il primo luogo che ricordo è il Portico dei Teatri che, ancora ben sorretto dalle sue colonne, invitava ad addentrami nella città e, subito dopo aver scorto il Teatro Piccolo, mi ero immesso nella grande via Stabiana, una delle arterie principali di Pompei. Vuota.
Se ci penso sento ancora quella enorme emozione che mi aveva pervaso. Essere lì, poter vedere ciò che tanto avevo studiato: un luogo che tecnicamente dovrebbe far respirare morte e invece appare vivo, vivissimo. Il vederlo aveva acuito tutti i miei restanti sensi.
Prima di iniziare a visitare con rigore e disciplina ogni luogo di mio interesse mi ero quindi tolto la voglia di passeggiare almeno per qualche decina di metri senza vedere null’altro se non i resti di Pompei. Poi, dopo un paio di minuti abbondanti, un tranquillo cane randagio che si aggirava per il parco e soprattutto un paio di addetti e le prime guide con bandierine per farsi notare dai turisti che accompagnavano mi avevano fatto capire che il mio momento tutto personale con la città stava per terminare.
Era ora, quindi, di iniziare davvero a visitare il Parco Archeologico.
Per non rischiare di perdermi nulla, o almeno provarci, mi ero portato una puntata speciale della rivista Archeo, dedicata a Pompei, estremamente dettagliata, con una comoda mappa che avevo usato per orientarmi e mettevo una X ogni volta che vedevo una domus, una struttura o una strada di mio interesse.
Può sembrarvi eccessivo, quasi maniacale, ma vi assicuro che, a meno che non siate accompagnati da una valida guida, o che già non abbiate studiato ogni angolo di Pompei alla perfezione, la possibilità di lasciarvi qualcosa di valido indietro e di non vederlo, se la vostra intenzione è scoprire tutta il sito, è abbastanza alta.
Non è mia volontà farvi un racconto dettagliato di tutto ciò che ho visto, anche perché ero stato dentro al parco diverse ore e Pompei va vissuta dal vivo per essere totalmente apprezzata. Inoltre, attualmente potrete vedere più di quello che in quel periodo avevo potuto osservare con i miei occhi; però, anche a distanza di anni, alcune immagini e alcuni luoghi si sono saldati nella mia mente. E meritano una menzione.
Per cercare di non perdere l’orientamento mi ero spostato completamente dalla via Stabiana, imboccando via dell’Abbondanza per iniziare da una struttura quasi al limite della città.
E per me, quasi scontato dirlo, avvincente era stato entrare dentro all’Anfiteatro di Pompei.
Sapete, già dalla puntata su Roma, quanto gli edifici antichi da spettacolo siano da sempre la mia massima passione in ambito archeologico e per questo addentrami in uno dei più antichi (praticamente contemporaneo del Colosseo) e meglio conservati del mondo romano era stato un immenso piacere. Al suo interno, nel massimo periodo di suo utilizzo, potevano accomodarsi circa 20.000 spettatori. Mica male eh?
Ancora oggi viene utilizzato eccezionalmente per eventi e spettacoli e mettendosi nel centro della sua arena si può comprenderne efficacemente la dimensione.
La Casa di Octavius Quartio, nella Regio II (Pompei al suo interno è divisa in regio, a loro volta suddivise in Insule, e sicuramente, mappa alla mano, questo aiuta ad orientarsi) non lontana dall’anfiteatro sembra una versione in piccolo delle fastose ville aristocratiche della nobiltà romana, e al suo interno sono conservati alcuni dei più vividi affreschi presenti nella città. Era stato il mio primo vero contatto con le opere rappresentate sui muri di una delle Domus pompeiane e per questo la sua immagine è rimasta ben scolpita nei miei pensieri.
Il Thermpolium di Vetutius Placidus sembrava ancora così pieno di vita, come se da un momento all’altro dovessero apparire i clienti pronti per farsi servire dall’oste; e quell’immagine mi aveva fatto pensare ai momenti di convivialità che dovevano vivere lì gli abitanti di Pompei. Un po’ come mi era successo nel thermopolium di Ostia Antica… chi ha ascoltato la puntata a riguardo sa.
Inoltre l’immagine rappresentata su uno dei muri, con i protettori della casa e del proprietario, insieme a Mercurio e Dioniso risulta ancora ben conservata e permette così di immaginare con adeguata consapevolezza i colori che dovevano essere presenti all’interno di tutta la struttura.
Passando ad altro…avete presente le classiche targhe fuori dai cancelli delle case con la scritta “attenti al cane”? O anche insegne più tenere che spesso si trovano nelle case di chi possiede un amico a quattro zampe?
Beh, già a Pompei i proprietari segnalavano la presenza di cani nella propria casa, in maniera anche ben più vistosa. Nella Casa del Poeta Tragico, infatti, è possibile ammirare un’antica indicazione che avvisa di stare attenti al cane, in latino da tradurre con le parole “CAVE CANEM”, con la semplice differenza che al posto della classica targa posta su un recinto o un cancello, qui l’avviso veniva segnalato grazie a un mosaico con rappresentato appunto un cane, posizionato all’ingresso della domus. E tra l’altro, non è l’unica casa dove si può vedere una rappresentazione simile. Però questa è la più nota.
Una delle tante, curiose, similitudini presenti nel mondo antico che accorciano le distanze con il nostro mondo attuale.
Cariche di pathos sono invece le riproduzioni dei Telamoni, nel Tepidarium delle Terme del Foro, che sembrano sorreggere in un atto di estremo sforzo la volta con stucchi che copre questa area delle terme. E che è uno degli ambienti che ho maggiormente apprezzato di tutto il parco archeologico.
La Casa del Fauno, dove era presente il famoso mosaico con rappresentato Alessandro Magno durante la battaglia di Isso (ora l’originale si trova al museo archeologico di Napoli, mentre in loco è visibile una copia), o la Casa dei Vettii, famosa anche per alcune scene erotiche dipinte al suo interno, non hanno bisogno di presentazioni. Così come la celebre Villa dei Misteri, probabilmente la Domus per eccellenza di tutta Pompei, che però io avevo potuto vedere solo in parte perché in restauro, mentre oggi è completamente visitabile.
Ah, ricordatevi, se vi interessa qualche Domus in particolare, di controllare sul sito ufficiale del parco le aperture di alcune singole case, perché alcune sono aperte solo un giorno specifico della settimana.
Potrei parlarvi anche del lupanare con le sue seducenti immagini, di molte altre domus, o ancora del teatro grande, ma davvero l’unico modo per comprendere Pompei è vederla.
Ah, ultima annotazione: sicuramente molti di voi lo sapranno, ma ricordatevi che qui è stato ideato nell’800 un metodo straordinario per cercare di far comprendere ai visitatori quanto drammatici e concitati dovevano essere stati i momenti successivi all’eruzione che portarono alla fine di Pompei. Infatti, in alcune aree del sito, come nell’area del Foro ad esempio, è possibile ammirare i calchi in gesso che su intuizione di Giuseppe Fiorelli nel 1863 hanno permesso di mostrare al mondo in che modo erano rimasti imprigionati nella cenere indurita persone, animali e anche reperti organici. I calchi riempirono i vuoti lasciati dai corpi e dagli elementi organici decomposti, mostrando la tragica fine degli abitanti di Pompei.
Questo metodo è un qualcosa di unico per l’archeologia. Presente solo qui.
Dopo un paio di carezze ad alcuni dei cagnolini randagi presenti nel parco, abituati alla gente e sempre ben disposti a ricevere coccole dagli addetti dello staff e anche da alcuni turisti (non so se ad oggi capiti ancora di vederne dentro al parco) avevo tempo per prendere la mia auto e dirigermi a vedere un’architettura nel cuore di una città a poca distanza da Pompei nota per una celebre rivolta di schiavi.
Spartaco vi dice qualcosa?
Mi ero infatti diretto a Santa Maria Capua Vetere, l’antica Capua dell’Impero Romano, per visitare il suo anfiteatro. Tra i più antichi al mondo.
Attenzione però, le vicende del famoso gladiatore ribelle non si svolsero in questa struttura, in quanto probabilmente fu costruita successivamente sopra ad una di minori dimensioni precedente posta in quell’area.
Purtroppo solo in parte è possibile comprenderne la struttura, ma ciò che è possibile ancora oggi ammirare sono i resti del secondo anfiteatro più grande al mondo dopo il Colosseo. Cosa che a molti passa inosservata, quando si capita nella città. Essendo così ricca di tesori della storia e dell’archeologia l’area che lo circonda, non viene infatti spesso inserito negli itinerari di chi visita questa zona della Campania. Ed è un vero peccato.
Provate, però, a scendere nei suoi sotterrerai e a passeggiarci dentro. E poi ditemi se non sarà valsa la pena di visitarlo.
È tra i più affascinanti monumenti del suo genere ancora presenti al mondo.
Se invece dopo Pompei avrete la curiosità di vedere un’altra antica domus che ha subito la sua stessa tragica sorte vi consiglio di fare un salto a Torre Annunziata, per osservare con i vostri occhi i resti della celebre Villa di Poppea nell’area indicata come l’antica Oplontis romana. Si presume che possa essere appartenuta alla seconda moglie di Nerone e presenta una serie di pitture, le più antiche delle quali tipiche del secondo dei quattro cosiddetti stili pittorici pompeiani, che sapranno lasciarvi ancora a bocca aperta. Almeno, io ne ero rimasto incantato.
C’ero stato la mattina dopo aver visitato Pompei, e decisamente la cosa più piacevole era stata il potermi soffermare con molta più calma su ogni dettaglio della casa rispetto a quello che avevo potuto fare il giorno precedente nell’immenso parco archeologico, in quanto il flusso di turisti era decisamente minore.
Tornando su Pompei, però, l’unica cosa che posso fare è di esortarvi a non fermarvi a guardare solo il lato puramente “archeologico” del sito.
Questa è una città vera e propria, è la nostra eredità, è la nostra storia. Osservarla è come guardare dentro a noi stessi.
Ed è un qualcosa di bellissimo.
Finalmente ho portato a compimento una promessa che vi avevo fatto tempo fa. E adesso mi concentrerò su un altro posto di cui da tempo volevo parlarvi, che ho visitato più volte e al quale sono molto affezionato. Che poi non è un semplice posto, ma un intero Stato: la Grecia. E per l’esattezza vorrei parlarvi di alcune zone a mio parere fondamentali e simboliche per scoprire e apprezzare appieno la parte continentale della Grecia. Quella che per me è la parte più pura del territorio ellenico.
Quindi vi aspetto il 24 marzo, per descrivervi i luoghi che rendono la Grecia continentale una meta unica al mondo!
A presto!