Parigi.
Probabilmente una delle città più affascinanti d’Europa. Anzi del mondo!
Basta citare il Louvre, Notre Dame, Montmartre, gli Champ Elysées per sentirsi già pervasi dallo spirito parigino. Calcolando che poi c’è molto, ma molto di più da vedere oltre ai luoghi nominati, per cercare di visitarne il più possibile Valeriya ed io avevamo deciso di trascorrere i giorni intorno allo scorso capodanno nella capitale francese. Per l’esattezza ci siamo messi d’impegno per scoprirla per bene dal 29 dicembre al 4 gennaio. Con l’obiettivo di fare una scorpacciata dei luoghi iconici della città.
E direi che siamo usciti più che soddisfatti dal nostro viaggio. Con i piedi un po’ doloranti forse, ma ne è valsa la pena!
Dopo la sigla inizia la prima parte del racconto di questi giorni a Parigi.
Il primo ricordo che ho è dell’arrivo verso le 19 di sera era il diluvio pazzesco che aveva accompagnato il faticoso incontro con l’autista di un Uber che avevamo cercato a ridosso dell’uscita di uno dei numerosi terminal del grande aeroporto Chartes de Gaulle. Il cellulare prendeva poco e non mi dava la posizione corretta dell’autista e vagavamo, fradici, lungo il marciapiede fino a quando, come un’apparizione salvifica, il gentile Mohammed apparve davanti ai nostri occhi.
Fortunatamente, durante il tragitto verso il nostro hotel (l’Odalys City) a ridosso del quartiere di Saint-Ouen nella zona nord ovest di Parigi (viene descritto come un quartiere pericoloso ma sinceramente lo avevamo trovato abbastanza tranquillo), aveva smesso di piovere e una volta preso possesso della nostra stanza e messo addosso dei vestiti asciutti avevamo deciso di raggiungere a piedi il quartiere di Montmartre che distava una mezz’oretta dal nostro alloggio.
Nell’ultima parte del tragitto avevamo iniziato la salita verso la Basilica del Sacro Cuore che si posiziona al culmine della famosa collina che da il nome al quartiere annesso a Parigi nel 1860 e famoso per essere stato meta privilegiata di famosi pittori come Renoir, Picasso e Toulouse-Lautrec. Mentre ci avvicinavamo capivamo il perché piacesse così tanto a questi famosi artisti: Montmartre sembra una piccola cittadina, dove si respira arte e storia e le sue case rifinite in ogni dettaglio mantengono il loro fascino anche se ora è diventata decisamente una preponderante meta turistica, piena di negozi di souvenir e ristoranti.
La Basilica del Sacro Cuore, illuminata alla perfezione per svettare nel buio cielo parigino, era magnifica sia all’esterno che all’interno.
Costruita negli anni ’70 dell’Ottocento con i suoi 83 metri di altezza è uno degli edifici più alti di Parigi e la pietra calcarea con cui è costruita non trattiene lo smog, permettendole di restare limpida anche con il passare del tempo e soprattutto di mantenere candido il suo colore grazie anche alla pioggia che letteralmente lava la struttura.
Era ancora aperta è non ci eravamo fatti sfuggire la possibilità di visitare subito il suo interno.
In stile romanico-bizantino ha nel grande mosaico del coro il culmine della sua bellezza.
Era stato davvero il perfetto modo di iniziare la nostra visita di Parigi.
Sulla strada del ritorno ci eravamo fermati in un locale tunisino (nel quartiere di Saint-Ouen si trova gran parte della comunità nord-africana e mediorientale della città) che ispirava Valeriya, e dove il gentile cameriere aveva iniziato una lunga spiegazione, da noi non capita, sul come mangiare una specie di zuppa piccante che lei aveva ordinato e che, a quanto pareva, doveva essere riempita di pane che doveva prima spezzettare a mano. Ma vedendo la nostra imbarazzante difficoltà a comprendere cosa ci stava spiegando a un certo punto, preso dalla disperazione probabilmente, contro qualsiasi tipo di norma igienica per un ristorante il cameriere stesso aveva fatto a pezzi il pane e iniziato a lanciarlo nel piatto.
A quel punto avevamo finalmente capito!
Con la pancia piena e riposato per bene nel nostro letto, la mattina seguente eravamo pronti per immergerci nelle vaste collezioni del Louvre.
Anche qua ci eravamo mossi a piedi, e forse era stato un errore perché non avevamo calcolato quanto avremmo camminato durante tutta la giornata e partire con già quattro chilometri abbondanti percorsi prima di iniziare la visita a uno dei musei più grandi al mondo non era stata per niente una buona idea.
Calcolando, inoltre, anche quanto funziona bene la metro in città! Ma nei giorni seguenti avevamo imparato la lezione dall’errore commesso.
Tornando al Louvre: non basterebbe una puntata se dovessi andare nel dettaglio di ciò che è il più famoso museo sulla Terra, struttura nata come fortezza, evoluta in residenza reale e infine diventata museo alla fine del Settecento; per questo mi focalizzerò solo su alcune riflessioni puramente personali.
È estremamente dispersivo: se decidete di visitarlo in autonomia studiatevi perfettamente il percorso e cosa volete più di tutto vedere, perché comunque a volte vi sentirete smarriti e disorientati e a prescindere se provaste a contemplare con attenzione ogni opera non vi basterebbero tre giorni, probabilmente.
Preparatevi a trovarvi in mezzo a persone che non si capisce cosa ci stiano a fare in questo luogo. Un esempio su tutti; quando arriverete alla sala dove è esposta la Monnalisa troverete gente ammassata con i cellulari a far foto a certamente una delle opere più iconiche dell’arte, ma che dopo aver scattato quella foto non si rende neanche conto (o peggio, non è interessata) del fatto che alle sue spalle si trova una delle più importanti tele dipinte da un artista italiano: le Nozze di Cana, immensa tela del Veronese che in origine si trovava sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, nel refettorio dell’omonima basilica (e che, visto il poco valore che le viene dato in quella sala, forse meriterebbe di ritornare nel suo luogo d’origine).
Da ultimo, sappiate che uscirete però inebriati da quello che ammirerete: perché sì, è vero, c’è tanto, forse troppo, ma vedere dal vivo la Nike di Samotracia, i capitelli con le protomi a forma di toro del palazzo di Dario I di Persia, la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, l’incoronazione di Napoleone o il Leonida alle Termopili di Jacques-Louis David e soprattutto, per quanto mi riguarda, l’intensa Zattera della Medusa di Theodore Gericault era stato qualcosa di davvero emozionante.
Ah, vi ricordate che nelle puntate su Napoli vi avevo detto che a Capodimonte le opere più importanti non le avevamo viste perché erano in prestito al Louvre? Ecco, abbiamo chiuso il cerchio e alla fine siamo riusciti a vederle!
Dopo quasi sei ore dentro al museo eravamo usciti e fatto riposare le nostre gambe riempiendo intanto lo stomaco affamato con i falafel più buoni che avessimo mai mangiato da Le Festival in Rue de Richelieu, non lontano dai giardini delle Tuileries che ospitavano il secondo museo che volevamo vedere in giornata, il Museo dell’Orangerie.
Pensavamo di non fare in tempo a entrare perché c’era una lunghissima coda, ma in quel momento avevamo scoperto che il fatto di essere membro ICOM ci avrebbe fatto guadagnare molto tempo anche nelle visite dei giorni successivi. Mostrando la tessera spesso avevamo perfino saltato direttamente la coda (okay, lasciatemi bulleggiare un pochino, dai).
All’Orangerie, edificio realizzato nell’800 per conservare gli alberi di arance del giardino del Palazzo delle Tuilerires, ci eravamo principalmente concentrati sulla vista di 8 delle immense tele con rappresentate le Ninfee di Monet, esposte lì per la prima volta nel 1927 dopo la sua morte su espressa volontà dell’artista.
Come molti di voi sapranno, il ciclo delle ninfee è ispirato al giardino acquatico che l’artista aveva creato nella sua dimora in Normandia ed è impressionante vederle dal vivo nelle loro reali dimensioni, in due stanze a loro dedicate e create appositamente anche a livello strutturale per apprezzare al meglio questi capolavori.
Tra l’altro qua sono presenti anche opere di Cezanne, Matisse, Modigliani, Picasso e molti altri. Quindi merita di essere visitato con calma e attenzione.
Usciti che ormai il sole era scomparso avevo avuto la malsana idea, ingannando leggermente Valeriya sulle distanze (cosa che poi non aveva apprezzato), di andare a vedere anche la Chiesa di Sant’Eustachio, nella zona di Les Halles, che risultava ancora aperta e, non sapendo se saremmo ripassati da quelle parti, mi pareva una buona idea visitarla.
Ora, vedere una chiesa gotica piena di vetrate quando ormai è calato il sole ha davvero poco senso. E in quella sede me ne sono reso conto. La struttura meritava. Ma senza luce era stata solo altra fatica per i nostri piedi.
Tornati verso il Louvre avevamo scattato un po’ di foto alla controversa Piramide di Ieoh Ming Pei (molti parigini ai tempi della sua costruzione non l’avevano apprezzata ed erano convinti che rovinasse l’entrata al museo) che però incorniciata dalla struttura illuminata del museo creava una location davvero suggestiva. Almeno per noi.
Mangiate zuppe di cipolle e omelette nelle casette in legno natalizie posizionate nel periodo delle feste sempre in una parte dei giardini di Toulleries eravamo rientrati davvero cotti, nella stanza dell’hotel per cercare di far riposare i nostri stanchissimi piedi. Eravamo arrivati a 40.000 passi!
L’ultimo giorno dell’anno per prima cosa ci eravamo diretti alla Sainte Chapelle e vi consiglio di prenotare con largo anticipo il biglietto perché, anche con quello, un po’ di coda la farete e senza prenotare potreste non riuscire a visitarla.
Una volta al suo interno ho compreso il perché:
Tra i massimi capolavori dell’architettura gotica francese, ultima struttura insieme alla Conciergerie a far parte dell’antico Palais de la Cité (la residenza dei re di Francia prima di Versailles) è totalmente composta da enormi vetrate istoriate e un grande rosone che, grazie alla luce naturale esterna, rendono l’interno totalmente immerso da colori magnifici. Fu commissionata da Luigi IX per custodire le reliquie della passione di Cristo e oggi fa giustamente parte del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Davvero eravamo rimasti a bocca aperta. Foto e video non rendono giustizia a tanta bellezza e perfezione.
Ancora inebriati dalle vetrate della Sainte Chapelle eravamo passati davanti a Notre Dame, purtroppo ancora chiusa dopo il tragico incendio del tetto avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 aprile del 2019, e raggiunto la celebre Shakespeare and Company, libreria anglosassone nel cuore di Parigi che attira da sempre molti turisti per il suo caratteristico e accogliente allestimento interno, posta sulle rive della Senna.
Da lì poi eravamo andati a visitare forse l’altro più famoso museo della città, il Museo d’Orsay con le sue ricche collezioni principalmente del periodo impressionista e post-impressionista. Personalmente però, come credo capiterà a molti, ciò che ancor di più mi aveva affascinato era stata la sua location: il museo infatti trova i suoi spazi all’interno di una stazione ferroviaria, la Gare d’Orsay, progettata dell’architetto Victor Laloux e inaugurata nel maggio del 1900 ma finita totalmente in disuso già all’inizio degli anni ’40. Fortunatamente nel 1978 il governo francese decise di darle una seconda vita, affidando all’architetta italiana Gae Aulenti la riconversione degli spazi interni a museo e nel 1986 fu inaugurato questo sublime luogo d’arte. Dettaglio non da poco che tra le opere principali spiccano “la colazione sull’erba” di Manet, “la notte stellata sul Rodano” di Van Gogh, “l’assenzio” di Degas e molte altre ancora.
Usciti dal Museo e andati ad ammirare da vicino la Tour Eiffel, che al calar del sole troneggia totalmente illuminata nello skyline di Parigi, eravamo pronti per festeggiare il Capodanno nel centro della città.
Poi però il tempo stava peggiorando, faceva freddino, avevamo superato i 30.000 passi giornalieri, gli champs elisee si stavano riempiendo all’inverosimile perché moltissima gente aveva deciso di assistere allo spettacolo serale che avrebbe accompagnato la fine dell’anno… e di colpo avevamo pensato che il supermarket vicino a noi poteva regalarci un decente pasto per permetterci di restare comunque tranquilli e al caldo nella nostra stanza.
Sui social metterò la nostra gran cena di Capodanno, perché davvero merita di essere vista!
Ma, a parte tutto, avevamo fatto bene, perché la mattina del primo giorno del 2024 non avevamo perso tempo e continuato ad esplorare Parigi.
Adesso però mi fermo qui.
Riprendiamo nella prossima puntata!
Eh sì, ve l’avevo detto che su Parigi avevo proprio tanto da raccontare, per questo se vorrete ascoltare la seconda parte del viaggio vi aspetto venerdì 19 aprile per parlavi di Napoleone, Versailles, Saint Denis e tanto altro ancora.
A presto!