Quando ripenso ai giorni trascorsi al Cairo il primo ricordo che mi viene in mente è l’ironico scambio di battute avvenuto tra me e Alessio, mio amico che avete già avuto modo di conoscere nella Puntata 3, dedicata alla Giordania.
Erano le dieci di sera del primo novembre 2018 e stavamo per imbarcarci a Malpensa insieme ad altri tre nostri amici.
Io ero già in fibrillazione all’idea di quello che avremmo visto e non volevo perdere nemmeno un istante della mattina seguente, visitando appena possibile il Museo Egizio.
Chiesi ad Alessio, quindi, se saremmo riusciti a vedere il Museo proprio entrando all’orario di apertura, anche perché l’albergo che avevamo prenotato era a poca distanza dalla sede museale, e così avremmo avuto poi il resto del giorno per visitare molto altro ancora.
Alessio rispose ricordandomi che saremmo arrivati alle quattro e mezza del mattino e l’hotel ci lasciava giusto posare i bagagli, ma non avremmo avuto subito le stanze disponibili… perciò era discretamente convinto che non ci sarebbero stati problemi ad essere tra i primi a varcare la soglia del Museo. Piuttosto riponeva dei seri dubbi sulle nostre possibili condizioni psicofisiche dopo una quasi totale assenza di sonno.
Eravamo in cinque in questo viaggio. Tutti membri del cosiddetto BerTour.
Ora vi spiego cos’è, soprattutto, vi racconto le nostre rocambolesche giornate al Cairo.
Da più di dieci anni alcuni miei amici ed io, capitanati dall’inossidabile Alessio, che di cognome fa Bertucci (da qui nasce il termine BerTour) un paio di volte l’anno viaggiamo insieme verso mete proposte dal nostro mentore… e questi non sono esattamente i tipici viaggi da agenzia turistica, per ritmi e luoghi visitati. Ognuno di noi aggiunge poi le sue idee. Si prenota il minimo indispensabile… e si parte!
Siamo un gruppo molto affiatato. Lo dico con vanto, perché non è semplice e scontato trovare tanti compagni di viaggio capaci di muoversi così all’unisono senza problemi per più giorni.
In questo Bertour, con me e Alessio, erano presenti Giuseppe, Filippo e Roberto.
Come vi dicevo, arrivati all’hotel e non avendo le nostre stanze pronte avevamo tentato invano di metterci a riposare sui divani di una piccola stanza che era stata messa a nostra disposizione, con però scarsissimi risultati.
In compenso il receptionist, mosso a pietà probabilmente, aveva fatto preparare del tè con biscotti.
Assonnati, ma almeno non a stomaco vuoto, prima delle 8 e 30 eravamo già in Piazza Tahrir davanti al Museo.
Non è comunque mia intenzione soffermarmi troppo sul Museo Egizio, in questo racconto.
Perché un po’ mi ha deluso.
Certo, le collezioni al suo interno sono uniche al mondo, ma buona parte delle sezioni e degli allestimenti sembrano rimasti fermi agli inizi degli anni ’30. Con seria difficoltà nel comprendere totalmente quello che viene mostrato agli occhi del visitatore.
Se non si è specialisti del settore, o accompagnati da una guida, solo tramite le indicazioni nella struttura è difficile capire e interpretare adeguatamente molte delle opere e delle sezioni presenti.
Da archeologo classico ammetto di aver avuto momenti di sconforto riguardo questa situazione.
Ovviamente quando ero arrivato nella sezione dedicata a Tutankhamon per alcuni attimi comunque ero rimasto letteralmente senza fiato.
Vedere dal vivo la sua maschera funeraria in oro massiccio, i sarcofagi, i reperti in legno e lamina d’oro, e molto altro ancora scoperto da Howard Carter nel 1922 effettivamente sarà per sempre un ricordo unico.
Ma il Museo avrebbe realmente bisogno di una notevole svecchiata. Solo una minima parte della struttura è stata rinnovata negli anni e la ventata di novità arriverà invece con il Grande Museo Egizio, che tra mille ritardi e imprevisti è sorto a Giza, all’ombra delle Piramidi, e dovrebbe funzionare a pieno regime proprio da quest’anno.
Usciti dal Museo avevamo deciso per quel primo giorno di esplorare la città… ignari di cosa ci sarebbe capitato.
La prima architettura degna di nota era stata la Moschea di Ibn Tulun, una delle più grandi e antiche dell’intero Egitto. Costruita tra gli anni 876 e 879 d.C. completamente in mattoni d’argilla era circondata da un cortile esterno che pareva volerla distanziare fisicamente dal resto della città. Il suo minareto, con una particolare forma a spirale, mi aveva incuriosito e il senso di calma e serenità che provai camminando al suo interno, complice il momento propizio con poche persone, riesco ancora a percepirlo ogni volta che ripenso a quel momento.
Passeggiare scalzo mi aveva aiutato a smaltire la stanchezza della notte trascorsa in viaggio. Rendendomi ancora più voglioso di scoprire la città.
Dopo eravamo arrivati anche alla Cittadella, fondata nel 1176 dal condottiero musulmano Ṣalāḥ al-Dīn, il Saladino, il quale fece costruire le mura e le solide torri con blocchi di pietra presi dalle Piramidi. Questa fu la sede del potere della città per 700 anni.
Nella Cittadella si trovava anche la Moschea di Mohammed Ali; sicuramente appariscente, ma esteticamente non memorabile.
La sua curiosità era però legata al fatto che la struttura è d’impronta turca: infatti il suo committente era un mercenario cresciuto nei territori dell’Impero Ottomano, il quale arrivò al potere nel 1806 e regnò per 43 anni. I lavori della sua moschea erano iniziati nel 1839 e si ultimarono 18 anni dopo. Anche se ispirata alle grandi moschee di Istanbul, non può neanche lontanamente reggerne il paragone.
Alla fine del nostro giro nella Cittadella iniziò una delle esperienze più assurde vissute nei nostri viaggi.
Giuseppe, che ringrazierò sempre per molti luoghi che nei vari BerTour ci ha fatto scoprire, a volte insistendo fino allo sfinimento per convincerci a seguirlo, in quel momento si era fissato con la Città dei Morti, il più antico cimitero musulmano del Cairo caratterizzato dalla convivenza tra i vivi e i defunti.
Voleva assolutamente andarci e appena fuori dalla Cittadella avevamo trovato un giovane tassista abusivo che si era offerto di accompagnarci ovunque avessimo voluto, per tutto il giorno, con il suo sgangherato pulmino rosso.
Partito subito con una bella inversione a U il nostro giovane autista si era messo su una delle strade principali e più trafficate della capitale, convinto però che noi volessimo vedere la Città dei Morti senza scendere dal pulmino.
Quando Giuseppe gli disse invece che volevamo farci una passeggiata lui aveva fatto una faccia molto titubante, spiegandoci che quella era una delle zone più malfamate della città, e quella non era per niente una buona idea.
Guardando poi per qualche secondo con attenzione fuori dai nostri finestrini le facce dei passanti che ci osservavano come polli da spennare non fu difficile dargli torto.
Ci disse invece che, se ci fidavamo di lui, ci avrebbe portato a vedere un luogo unico della città: la chiesa rupestre di San Simone a Mokattam, una collina ad est del centro.
Quindi avevamo cercato tra guida cartacea e cellulari alcune informazioni e letto che questa particolare struttura religiosa, edificata scavando nella roccia, era in grado di ospitare ben 20 mila persone, ed alcune particolari incisioni realizzate da un artista polacco la rendevano ancora più suggestiva.
L’autista ci aveva convinti. Ci disse anche che la collina che ospitava la chiesa era però nota per essere luogo di una delle più grandi discariche dell’Egitto… Garbage City, la Città dei Rifiuti.
E dovevamo passare per questa zona, ma solo per un breve tratto; proprio di questo che volevo parlarvi.
Perché la Città dei Rifiuti era una vera, enorme, discarica a cielo aperto. Montagne di rifiuti disegnavano i percorsi di questa vastissima area, mostrando un paesaggio surreale.
Gli abitanti di questa città nella città sono chiamati Zebelin, “i raccoglitori di spazzatura”, in maggioranza cristiani copti che attraversano di notte le strade del Cairo per recuperare l’immondizia prodotta dall’intera popolazione.
Perché lo fanno?
Perché al Cairo non esiste la raccolta differenziata e queste persone vivono del lavoro che svolgono nelle attività di riciclaggio dei rifiuti della metropoli egiziana.
Giuro fatico a descrivere solo con le parole lo stupore e sgomento provati.
Dopo pochi minuti noi non riuscivamo quasi più a respirare, mentre la gente intorno al nostro pulmino si comportava come se nulla fosse: le persone chiacchieravano, lavoravano e i bambini giocavano per le strade.
Eravamo finalmente quasi usciti quando dei sacchi di spazzatura avevano bloccato la strada e per raggiungere la chiesa ne avevamo dovuto fare un’altra, molto più complessa.
Alla fine in Garbage City vi avevamo trascorso una buona mezz’ora, che sembrò interminabile.
Però è un ricordo che resta vivido. E ragionare a quanto l’uomo pensi al progresso e alla crescita continua, senza però guardarsi realmente intorno e ignorando l’esistenza di realtà come queste fa davvero riflettere.
Respirata finalmente un’aria migliore eravamo poi riusciti a goderci la chiesa, che effettivamente aveva meritato anche quell’inimmaginabile deviazione.
Dopo una serata tranquilla nel centro del Cairo, la mattina successiva eravamo finalmente in trepidante attesa di vedere le Piramidi di Cheope, Chefren e Micerino.
Con l’hotel ci eravamo accordati per avere una guida, che si era proposto di accompagnarci alle Piramidi, al sito di Menfi e all’antichissima piramide di Saqqara.
Ve lo dico subito e senza giri di parole:
Nessuna foto, per quanto perfetta, può far comprendere la potenza e grandezza delle Piramidi. Fino al momento in cui non ci si trova al loro cospetto non si può davvero rendersene conto.
Prima ci eravamo aggirati intorno ad esse a qualche centinaio di metri di distanza per avere un quadro generale della zona. Fino a quando non avevamo perso di vista Roberto, che era poi tornato tutto sorridente con dei cammelli, convincendoci a fare un giro sulle loro groppe.
Avete presente il sorriso di un bambino quando convince i genitori a fare una cosa che desidera con tutto sé stesso?
Ecco, Roberto in quel momento gongolava nel medesimo modo.
Avevamo poi deciso di entrare dentro la Piramide di Chefren, la seconda per grandezza ed era stata un’emozione immensa leggere nella camera funeraria l’iscrizione ancora presenze di Belzoni, l’avventuriero che aveva voluto rendere indelebile il fatto di averla scoperta il 2 marzo del 1818.
C’era anche un cestino per buttare la spazzatura nella camera sepolcrale totalmente vuota e, ripensando alla città della spazzatura, si era dipinto un sorriso misto di ironica tristezza sulle nostre facce.
Usciti avevamo continuato a passeggiare incantati intorno alle Piramidi e alla Sfinge, accerchiati da scolaresche locali che volevano farsi dei selfie con Giuseppe, che a quanto pare era il sosia di un famosissimo attore comico egiziano. Almeno a vedere dalle foto dell’attore che ci mostravano i ragazzi.
Dopo questo momento di celebrità ci eravamo sposati a Menfi per vedere il sito archeologico con il museo dell’antica città, custode del Colosso di Ramses II: un’enorme statua di circa 10 metri che voleva rappresentare il famoso faraone, esposta sdraiata per permetterne una visione più completa.
Da ultimo eravamo poi giunti, con il sole che iniziava a calare, a Saqqara per vedere la piramide a gradoni di Djoser, la prima e più antica costruita in pietra.
Non era possibile entrare al suo interno in quanto era in restauro, ma fuori abbiamo potuto ripiegare sul siparietto tra Roberto e Filippo e due tizi con degli asini che volevano farli salire su quelle povere bestiole per poi farsi dare dei soldi. Roberto ovviamente cavalca tutti gli animali con gioia, come avrete capito. E non aveva fatto eccezione. Filippo invece avevano provato a caricarlo di peso ma con accese discussioni era riuscito a divincolarsi.
Noi intanto ci godevamo la scenetta.
La mattina del nostro ritorno eravamo d’accordo con un autista che prima di portarci all’Aeroporto di Alessandria d’Egitto ci avrebbe permesso di fare un rapido salto nel centro della città affacciata sul Mediterraneo.
Fondata da Alessandro Magno, soprattutto nei quartieri rivolti sul mare possiede un aspetto decisamente più occidentale rispetto al Cairo.
Avevamo fatto solo un fugace giro nelle aree archeologiche greche e romane del centro e nelle Catacombe della Collina dei Cocci, la necropoli greco-romana più grande d’Egitto.
Pensate che arriva ancora oggi ad una profondità di oltre 30 metri e si articola su tre livelli.
L’addentarmi nel sottosuolo aveva riportato alla mente uno dei miei sogni più grandi di quando studiavo in università: cercare e trovare la Tomba di Alessandro Magno.
Magari, da qualche parte, è ancora presente sotto la città moderna.
Il traffico per uscire era stato poi allucinante e solo la fortuna di aver avuto l’aereo in ritardo di tre ore ci aveva consentito di non perdere il volo.
Ma, in fondo, non eravamo poi così preoccuparti… saremmo restati volentieri ancora qualche giorno a farci catturare dalle bellezze dell’Egitto.
Dopo questo giro in terra africana vi informo che nelle prossime due puntante vi porterò in due città che per me sono “casa”.
Come sapete sono toscano d’adozione, ma lombardo di nascita.
Vi aspetto quindi tra due settimane per parlarvi di Vigevano, la città ideale di Leonardo da Vinci e poi, nella puntata successiva vi porterò a fare una passeggiata con me nel cuore di Pisa.
Ciao a tutti!