Un caloroso buongiorno a tutti, miei carissimi amici di Taste of Art!
Finalmente torno a parlarvi e, intanto, inizio con il ringraziarvi perché ho potuto notare con piacere che durante l’estate gli ascolti delle precedenti puntate sono stati costanti, e nuovi amici si sono aggiunti tra i followers delle piattaforme in cui trovate i racconti dei miei viaggi. Come sono andate le vostre vacanze? Le mie molto bene. E sono appunto qua per narrarvi del primo dei due viaggi principali che ho fatto durante l’estate.
Infatti per cinque giorni Stefano ed io ci siamo goduti parte dell’accogliente, vivace e calda Andalusia, visitando principalmente Siviglia, ma facendo due interessanti deviazioni anche a Italica e soprattutto, in quel puro mix di architettura moresca, medievale e romana che è Cordova.
Quest’anno avevamo optato per un posto dove speravamo di non trovare abbondanti piogge, dopo le sonore lavate prese nelle Highlands scozzesi lo scorso anno. Certo, non pensavamo di finire in una delle zone più calde d’Europa, nel periodo dell’estate in cui tra l’altro le alte temperature hanno attanagliato proprio tutto il continente. Giusto per farvi capire: immaginateci sotto il sole, a camminare in centro a Siviglia, con un bel 46 gradi segnati dai termometri sparsi per le città. A volte abbiamo avuto visioni mistiche. E bevuto litri d’acqua che letteralmente evaporavano… quasi non eravamo neanche sudati! Ma il rischio di sciogliersi al sole era valso la pena.
Sapete perché? Beh, finalmente dopo la sigla ve lo spiego!
Niente voli cancellati e peripezie per raggiungere aeroporti.
Questa volta per fortuna, partiti da Malpensa nel pomeriggio di lunedì 17 luglio eravamo arrivati giusti giusti per l’orario di cena a Siviglia e lasciati i bagagli nel nostro comodo alloggio, il Room007 Salvador Hostel, situato in pieno centro, a pochi passi dal Metropol Parasol, l’avveniristica e imponente struttura a forma di pergola in legno e cemento che caratterizza Plaza de la Encarnacion, avevamo iniziato a conoscere la città. Dopo aver compreso che, anche con il calar del sole, l’unico outfit possibile, non potendo girare in mutande e basta, era indossare pantaloncini e magliette a maniche corte, ci eravamo mossi a piedi verso il Guadalquivir, l’unico fiume navigabile della Spagna, per attraversare il ponte che conduce allo storico quartiere Triana, conosciuto anche per essere sede di comunità gitane e famoso per le azulejos, le piastrelle in ceramica di cui vi ho già parlato anche nella puntata su Lisbona.
L’area a ridosso del fiume è piena di locali, che invitano a sedersi e rilassarsi, ma sapevamo che saremmo tornati nei giorni seguenti in quella zona, quindi avevamo fatto marcia indietro per fermarci in un piccolo ristorante poco prima del ponte, Casa Murillo, che ci aveva attirato per la location e poi ci aveva convinto anche nel menù… Mi sento quasi Alessandro Borghese! Ah, in Andalusia sappiate però che se non amate l’aglio e le spezie le vostre giornate saranno molto difficili.
Sempre guardando da lontano il profilo del quartiere Tirana con le sue colorate case avevamo costeggiato il fiume a piedi, arrivando alla Torre dell’Oro illuminata magistralmente per ricordare il colore che le aveva fatto avere questo nome, dovuto alle azulejos dorate che in origine dovevano rivestirla. Giusto perché non eravamo ancora abbastanza accaldati e stanchi avevamo deciso di proseguire la nostra passeggiata per ammirare una silenziosa Plaza de Espana, tra i simboli della città, che di sera, praticamente sgombra dai turisti, secondo me è ancora più apprezzabile anche se non si possono distinguere tutti i suoi caldi colori o alcuni suoi dettagli. In tutto ciò avevamo bevuto litri su litri d’acqua che evaporavano davvero dal nostro corpo senza che neanche ce ne rendessimo conto, non facevamo neanche in tempo a sudare tanto il vento caldo asciugava in automatico in nostri corpi e ci disidratava nuovamente. Entrare nella stanza con il condizionatore a darci il bentornati era stata una sensazione magnifica.
Il primo giorno completo era nostra intenzione dedicarlo totalmente a Siviglia. Gli unici luoghi in cui avevamo prenotato i biglietti prima di partire erano stati l’Alcazar, da vedere in tarda mattinata la Cattedrale di Santa Maria della Sede, con visita anche alla Giralda (l’iconica torre della struttura), nel pomeriggio. Per il resto puntavamo a scoprire il più possibile la città. E ci stava piacendo da subito perchè, in base alla zona in cui si camminava, o la strada che si sceglieva di intraprendere, pareva di essere in una città ultramoderna, in una piccola città del nord africa, in un borgo barocco del sud Italia o in qualche antica città romana o medievale. Un mix architettonico che si ritrova alla perfezione anche nei volti dei suoi abitanti. Siviglia è stata attraversata, e ancora è attraversata, da culture differenti, che si intrecciano, si mischiano. Creando luoghi irripetibili.
Eravamo passati di fianco alla Cattedrale per visitare l’Archivio Generale delle Indie, e nel farlo avevamo scoperto anche le originali forme arrotondate della porticata Plaza del Cabildo. Dopo esserci con stupore fermati a osservala eravamo andati all’Archivio, uno dei cinque archivi generali di stato spagnoli, dove sono conservati principalmente i documenti legati ai possedimenti dell’impero spagnolo nelle Americhe e nelle Filippine. Il palazzo che lo ospita, in stile rinascimentale, insieme a tutto ciò che è conservato al suo interno, fa parte del Patrimonio Unesco dal 1987. Ripassati per Plaza de Espana, e confermato il fatto che per quanto di giorno sia sicuramente più instagrammabile la sera le dona un fascino superiore, cercando ogni raro punto all’ombra, eravamo infine giunti all’ingresso della complessa struttura dell’Alcazar.
Tra i più pregevoli esempi di architettura mudéjar dell’andalusia, dove stili architettonici occidentali e cristiani si legano a elementi che provengono dallo stile arabo, l’Alcazar ha una storia architettonica articolata che attraversa diversi secoli, dalle prime strutture arabe dell’VIII secolo al XIV, quando Pietro I il Crudele fece ricostruire parte della struttura e l’ampliò trasformandola nella sua residenza reale. In realtà alcune aggiunte e modificazioni minori ci furono anche nei secoli successivi. Questo palazzo, come altri luoghi della città, è stato ospite di set cinematografici Hollywoodiani e internazionali, nel caso specifico “le Crociate” di Ridley Scott e il Trono di Spade.
Così tanto perché mi piace divagare, lo sapete, la già citata Plaza de Espana per esempio appare invece tra le location di film come Lawrence d’Arabia e Star Wars – l’Attacco dei Cloni. Una città amata dai registi, insomma!
Comunque, tornando all’Alcazar, ho trovato avvincente soffermarmi su ogni dettaglio moresco presente nei patii del palazzo, ma ciò che mi ha più colpito, insieme egli estesi e articolati giardini sono stati i “Bagni di Donna Maria de Padilla”, camere di raccolta di acqua piovana in una cripta sotterranea a tre navate con volte a crociera in stile gotico che si riflettono nelle acque. Sinceramente, dopo aver girato per buona parte del palazzo, non ti aspetteresti di trovare un luogo così.
Una volta usciti avevamo scoperto il piatto che più di tutti sarebbe diventato il nostro must have di quei giorni: il Salmorejo! Mangiato ad ogni ora, anche nei nostri secondi pranzi (quasi pasti obbligati dal fatto che noi verso l’una e 30 cercavano posti dove mangiare, ma poi ci trovavamo alle 15 con tutto quello che volevamo visitare chiuso per la siesta, e quindi ci rintanavamo nuovamente in ristoranti a testare anche sue diverse varianti). Per chi non lo conoscesse è una zuppa fredda a base di pomodoro, aglio (ovviamente, vuoi non metterlo?), pane, olio, aceto e sale, il tutto frullato e poi servito con in cima pezzi di uovo sodo e jamon serrano, tipico prosciutto crudo stagionato. Ben più corposo del noto gazpacho, vi assicuro che potreste non riuscire più a farne a meno. L’unico problema era che era sempre molto fresco, e solitamente mangiavamo questo piatto in locali dove non ci si risparmiava sull’aria condizionata… poi però si uscivamo e tornavamo nel forno Sivigliano creando una strana sensazione di congelamento allo stomaco e estremo calore agli arti. Non il massimo.
Con lo stomaco fresco e il resto del corpo bollente ci eravamo diretti verso la Cattedrale di Siviglia, imponente gioiello dai diversi stili architettonici, come un po’ tutto in città (ormai lo avrete capito) che si erge nel cuore del centro storico. Giusto perché ci mancava il far evaporare ancora un po’ di liquidi dal nostro corpo avevamo subito intrapreso la lunga salita che portava alla Giralda, ed eravamo rimasti incuriositi dal fatto che la salita verso la sua cima non era composta da scale ma da 34 rampe che consentivano ai muezzin (in quanto in realtà questa torre era in origine un antico minareto) di salire più rapidamente in cima in sella a un cavallo per richiamare i fedeli alla preghiera. Avviso che la salita è lunga. Ogni tanto si vedevano visitatori intenti a ritrovare un minimo di energie con una speranzosa pausa. Alcuni che rinunciavano. Altri probabilmente vedevano già diversi santi rappresentati all’interno della cattedrale invece. Noi, come sempre nel nostro perenne stato a metà tra l’umidiccio e il disidratato, eravamo arrivati in cima. E ne era valsa la pena. Ridiscesi avevamo poi visitato tutta la cattedrale, costruita in stile gotico sopra l’antica moschea più importante della città; ed è da menzionare qui la presenza della notevole tomba del nostro connazionale Cristoforo Colombo.
Dopo aver esplorato l’Antiquarium Romano, situato sotto il Metropol Parasol, lì dove doveva essere realizzato un parcheggio sotterraneo che fortunatamente non è stato poi costruito per permettere invece di camminare nel più importante sito archeologico di epoca romana ancora presente nel cuore di Siviglia, ci eravamo in seguito fatti estasiare (sono ironico, sui social poi capirete il perché) dai passi di tip tap del “pittoresco” proprietario del Gallo Rojo, club non lontano dal nostro alloggio. In realtà il locale lo consiglio. Sia per le birre servite, sia per la location e l’ambiente. Qui potrete spesso ascoltare ottimi musicisti che si esibiscono dal vivo… quella sera però il proprietario aveva deciso di unirsi per un assolo di tip tap ai poveri artisti che si stavano esibendo con i loro strumenti. Loro erano bravi, molto… sulle capacità e soprattutto la sobrietà del proprietario lascerò parlare le immagini. Sulla strada del ritorno verso la nostra stanza avevamo trovato un invitante pub in stile inglese, gestito da un simpatico proprietario italiano, la Linterna Ciega, che offriva un’ottima scelta di birre e piatti gustosi.
La mattina seguente era il momento, per la mia gioia (Stefano era leggermente spaventato dalla probabile mancanza di ombra), di andare a vedere altri amati sassi… di un certo livello eh. Perché a Italica, anzi il nome attuale è Santiponce (Italica era l’antico nome della prima colonia romana in terra spagnola, che diede i natali a Traiano e Adriano), si trova un’area archeologica diventata famosa tra l’altro per essere stata anch’essa uno dei set de Il Trono di Spade. Il sito è facilmente raggiungibile in pullman da Siviglia in circa mezz’ora e su tutto ciò che è ancora ammirabile svettano, massicci, i resti dell’anfiteatro romano. Certo, le zone d’ombra effettivamente in tutta l’area scarseggiavano, però vi assicuro che il sito, tra l’altro a ingresso gratuito per tutti i cittadini dell’Unione Europea, permette perfettamente di farsi un’idea di quanto questa città fosse tra le più pregevoli a livello architettonico fuori dai confini italiani dell’impero romano! Calcolate che l’anfiteatro era tra i più grandi di tutto l’impero e poteva arrivare a contenere circa 35.000 persone.
Dopo un buon pasto, dove ovviamente l’aglio non poteva mancare, nel bar-ristorante ufficiale di ritrovo dei tifosi del Betis Siviglia a Santiponce (il bianco e il verde, colori ufficiali del club calcistico andaluso, ornavano ogni angolo delle stanze, tutte con appese foto autografate dei giocatori più importanti della storia del Club) visto che avevamo un’oretta d’attesa prima del bus di ritorno avevamo girato un po’ nei dintorni della cittadina arrivando così a scoprire il Monastero di San Isidoro del Campo, sorprendente soprattutto per essere formato da due chiese accostate una a ridosso dell’altra nello stesso complesso monastico, commistione di stile gotico e mudéjar.
Tornati a Siviglia, avendo visitato l’antiquarium avevamo la possibilità di entrare gratuitamente nel Museo della Ceramica e avevamo deciso di vederlo, ma sinceramente vi consiglio di vistarlo solo se siete grandi amanti di questa tecnica artistica e di lavorazione dei materiali. Infine ci eravamo diretti verso la Plaza de Toros dopo aver attraversato anche il mercato centrale sul Guadalquivir, che però in quell’orario aveva molti dei suoi negozi chiusi. Non era nostra intenzione finanziare le corride pagando l’ingresso per visitare la Plaza. Ma avevamo visto che il mercoledì dopo le 17 si poteva entrare gratuitamente e l’unica curiosità che avevo era vedere a livello architettonico come era realizzata l’arena. Quindi, dopo un rapido giro, e una seguente un’ennesima accoppiata di cerveza fresca e salmorejo in uno dei locali lì vicino eravamo tornati in stanza a recuperare un po’ di energie. Per cena Stefano, con il naturale radar interno al suo corpo che collega cervello e stomaco per selezionare quale secondo lui può essere il miglior locale dove trovare nutrimento (sì, okay, guarda anche le recensioni su internet… ma realmente ha una capacità micidiale di azzeccare sempre dove mangiar bene), aveva scovato il “La Bartola”, piccolo locale vivace e allegro, dal personale simpatico e disponibile con un menù che unisce ottimamente tradizione e innovazione.
Finalmente, giovedì mattina, avevamo invece preso il treno per raggiungere Cordova. L’antica capitale della Spagna Araba e principalmente la sua Mezquita, erano tra i luoghi che da anni desideravo visitare; prima di raggiungere però la costruzione architettonica più famosa di Cordova, ci eravamo fermati a vedere l’Alcazar dei Re Cristiani della città e, vi dirò, personalmente anche se meno famosa l’ho preferita maggiormente a quella di Siviglia! i suoi giardini soprattutto sono davvero impressionanti per architetture, forme e colori e poi in questa fortezza nel 1486 i Re Cattolici proprio qua si riunirono con Cristoforo Colombo per pianificare il suo viaggio alla scoperta delle Indie.
Però, inutile parlare d’altro.
Il fiore all’occhiello di Cordova è assolutamente la Mezquita, una costruzione unica, soprattutto per quello che custodisce al suo interno. Questo tesoro architettonico entrato a far parte del Patrimonio Unesco nel 1984 mi aveva lasciato senza fiato nell’immediato istante in cui avevo varcato la sua soglia d’ingresso perché una foresta di colonne di 1300 colonne ci aveva accolto per poi farci perdere nei suoi oltre 23.000 metri quadrati di superficie, frutto di costruzioni, modifiche e ampliamenti che sono andati avanti per nove secoli a partire dal 786 d.C.
In base a quale punto visitavamo di questa immensa costruzione ci pareva di essere in luoghi totalmente diversi: da una parte sembrava di essere in una moschea mediorientale, ovviamente… anche se all’esterno le sue forme davano l’impressione di trovarsi davanti a un’opera gotica medievale! E, mentre all’interno riflettevamo su questo, di colpo ci trovavamo in una chiesa barocca che poteva essere la classica architettura tipica che si può vedere in Italia. Perché nel 1236 la moschea divenne cattedrale cristiana e al suo interno fu realizzata nel 1523 per volere di Carlo V, dopo diverse cappelle minori e una cappella reale negli anni precedenti a questa data, una cattedrale a croce latina proprio nella già presente moschea! So che sembra irreale da dire, ma è così. Ed è stupefacente. Non potrei usare altre parole. Ne sono rimasto totalmente incantato.
Per riprenderci da tutto questo piacevole stupore ci eravamo presi la nostra dose di salmorejo quotidiano una volta finita la visita e avevamo girato ancora un po’ la città; una volta tornati a Siviglia ci eravamo regalati per la nostra ultima sera andalusa una succulenta cena al “El Rinconcillo”, storico ristorante della città che aveva saputo tener fede al suo buon nome.
L’ultima mattina avevamo avuto il tempo di visitare la “Casa di Pilato” e sì, se ve lo state chiedendo il suo nome a che fare con il famoso personaggio che si lavava le mani. Partendo dal fatto che la lussuosa dimora vale la pena di essere vista perché sembra una piccola Alcazar dal ben riconoscibile stile mudéjar, con un patio finemente decorato e nel quale le sue 24 arcate ospitano altrettanti busti o statue di imperatori romani o personaggi dell’antichità, questa prende il suo nome dal fatto che il proprietario, il marchese Fadrique Enriquez de Ribera tornò da un pellegrinaggio del 1519 a Gerusalemme e scoprì che la distanza tra la sua abitazione e la chiesa collocata fuori dalle mura, conosciuta come la Croce del campo era uguale a quella tra le rovine della residenza di Ponzio Pilato e il Calvario. Sorpreso da questa coincidenza, il marchese stabilì lungo il percorso le quattordici stazioni della Via Crucis, di cui la prima, la sua casa, corrispondeva alla Casa di Pilato. Non so se era più devoto o più egocentrico.
Fatto sta che la casa ci aveva regalato un’ultima perla di questa energica e vitale città.
Ma, come tutte le belle cose, anche questa avvincente vacanza doveva avere una fine.
Ovviamente, l’aveva avuta il giorno che al telegiornale dicevano che anche in quella zona della Spagna si stavano finalmente abbassando le assurde temperature.
È stato bello tornare a parlarvi dei miei viaggi… per questo vi do appuntamento tra un mese esatto, il 29 ottobre, per raccontarvi dei sei gironi che Valeriya ed io abbiamo passato a Napoli. Con una capatina a Caserta e un ritorno in un luogo di cui vi ho già parlato in una precedente puntata.
A presto!